La Festa delle Farchie, con tutto il resto che ruota intorno ai giganti di canne, ha conservato negli anni il suo carattere ludico e allegro. In ognuna delle circa dodici contrade si comincia a lavorare all'inizio di ogni nuovo anno, con motivazioni profonde che la allontanano da qualsiasi forma di spettacolarizzazione. È una sinfonia di gesti rituali che si ripetono con maestria certosina, come a rimarcare la consapevole appartenenza a una cultura intrisa di devozione, simboli e richiami al mondo contadino. Interamente incentrata sull’operatività delle persone, l’abilità delle mani, la potenza fisica del gruppo. La fatica si legge sui volti concentrati e sudati.
Tutto parte dalla ricerca delle canne palustri. Sono gli uomini che scandagliano in modo furtivo gli ambienti fluviali, ognuno cercando di arrivare prima dei contradaioli rivali per trovare il materiale più bello e sano. Le diverse contrade, fino a non molto tempo fa, si contrastavano facendosi dispetti, rubandosi a vicenda le canne di notte o tagliando alle farchie altrui i “legami” di salice che le tiene insieme. Per questo motivo è nata l’usanza di vigilare sulla costruzione delle farchie, e nel frattempo il vicinato si incontra per mangiare dolci e bere vino, molto vino, in compagnia del fuoco tenuto acceso ininterrottamente con legna di quercia per riscaldarsi nelle notti freddi, e necessario a piegare il salice da annodare. Anche nei momenti di pausa ci si ritrova intorno al fuoco, insieme ai bambini che ascoltano le storie dei più vecchi e apprendono i primi segreti per confezionare una farchia in grado di reggersi in piedi, tradizione che riporta ai riti iniziatici. Le donne invece si dedicano alla preparazione dei dolci e dei cibi in generale. Così la farchia diventa una sorta di totem che può essere avvicinato solo dalle mani esperte dei contradaioli di appartenenza.
Per circa 15 giorni il paese si anima di notte: grandi falò vengono accesi nelle contrade, lì dove in aie, slarghi o radure in prossimità delle abitazioni si trovano gli stand o teloni che proteggono le farchie dall’umidità. Soltanto la farchia della contrada "Fara centro" è preparata in piazza, dove viene montato lo stand.
Negli spazi all’aperto si scatena l’allegria intorno al fuoco, con bicchierate, abbuffate di crespelle, canti del Sant'Antonio e musica di “travucette”, l’organetto abruzzese. I costruttori scaldano sulle fiamme i rami di salice per agevolare la torsione del nodo. Sempre sullo stesso fuoco verrà poi fatta ardere, come gesto propiziatorio, la parte rimanente della farchia riportata dopo l’accensione in piazza.
Dalle contrade verso la piazza. Una volta terminata la preparazione, le farchie vengono trasportate in corteo partendo dalle contrade, innalzate e incendiate sul piazzale della chiesa di S. Antonio. Si uniscono al trasporto i contradaioli, gli amici e i turisti in una grande partecipazione popolare. Anche le nuove generazioni si lasciano coinvolgere.
Una Festa maschia. È evidente il carattere "maschile" della festa, solo gli uomini sono preposti al confezionamento della farchia e solo alla discendenza maschile vengono trasmessi i segreti del mestiere, cogliendo modelli di comportamento che si tramandano da secoli. In fondo la canna e il salice rimandano a significati di fecondità e vigore, con il loro rapido accrescimento. La stessa forma della farchia ha carattere fallico, simbolo di forza, contiene in sé gli elementi essenziali della vita. Il suo destino si compie nell’essere bruciata: un sacrificio degli uomini alla divinità, dando in questo caso al fuoco un valore sacrale e generante.
Il gruppo maschile, terminata la preparazione della farchia, si recava in ogni casa ed era accolto con l'offerta delle crespelle, serpentone, cannoli, zeppolette e cauciune (vedi ricette). Oggi si organizzano tavolate collettive, vicino al luogo di preparazione, in cui oltre ai dolci tradizionali, si gustano piatti di maccheroni al ragù e insaccati di maiale preparati a turno dalle famiglie delle contrade, offerti in segno di devozione ai passanti.
Il “serpentone”, dolce inconsueto. Anche il dolce tradizionale della festa di S. Antonio abate, il serpentone (vedi ricetta), riconduce all’iconografia del santo, con il suo bordone sormontato da croce Tau, segno che gli Ebrei posero sugli stipiti delle porte prima dell’esodo dall’Egitto. Durante la traversata nel deserto, per preservare il popolo d’Israele dal morso dei rettili velenosi, Mosè collocò su un palo della stessa forma a tau un serpente di bronzo da guardare. L’immagine ricorda il bastone di Esculapio, simbolo della professione medica, che potrebbe rappresentare una tecnica per curare gli ebrei durante la cattività in Egitto, colpiti da un parassita annidato sotto la pelle.
Il dolce potrebbe fare riferimento anche alla striscia ustionante dell’Herpes Zoster sul corpo, ma pure al culto arboreo sovrapponibile al mito di fondazione della Festa.
Li "cannune" 'nghé la creme. Altro dolce della Festa sono i cannoli con la crema (vedi ricetta) che continuano ad essere preparati con la stessa ricetta da molti anni. Vengono chiamati dalle donne "farchiette", sia perché ricordano la forma delle farchie, sia perché vengono realizzati con piccoli cilindri di canne lunghi 15-20 centimetri.
È ora di partire. Nel primo pomeriggio del 16 gennaio le farchie, ormai raramente portate a spalla, vengono decorate con bandierine tricolori e caricate sui trattori ricoperti da rami di edera e fiocchi rossi, mentre il coro intona le litanie lauretane per affidare i farchiaioli alla protezione del santo nelle delicate fasi di trasporto e innalzamento. Il suonatore di “travucette” si siede a cavalcioni sulla farchia mentre un tamburello apre il corteo. Arrivati davanti alla chiesa di S. Antonio avviene la “presentazione” delle farchie al santo. I contradaioli scaricano le farchie poggiandole sul suolo. In questa fase non priva di pericoli, fondamentali sono i comandi del capofarchia che coordina le fasi di innalzamento. Quando tutte le farchie sono in piedi, come a ricreare il bosco, si procede alla loro accensione con i mortaretti posizionati sopra la cima, tra la paglia. Ancora una volta vengono esibite la forza muscolare e l’abilità nel manovrare funi e pali incrociati chiamati “filagne”, utili ad alzare diversi quintali di peso. Per questo l’esperienza e la perizia tecnica sono requisiti fondamentali di tutte le operazioni rituali, dalla prima all’ultima.
Contemporaneamente, la statua di S. Antonio viene portata davanti al piazzale della chiesa affinché il santo diffonda, tramite essa, la benedizione divina.
Una volta incendiate tutte le farchie, con le loro teste infuocate e scintillanti e il fumo che si propaga roseo nell’aria ormai umida, lo spettacolo che si presenta all’imbrunire è di quelli da incorniciare tra i ricordi. L’aria si fa acre, ma il vin brulè addolcisce la bocca e riscalda il corpo. Arrivato così al suo culmine, la festa cala di tono. Le farchie consumatesi per metà, vengono abbattute e riportate alla base di partenza, unite al fuoco della propria contrada per finire di consumarsi. Intanto continuano i bagordi fino a tardi. Il ricordo degli odori, dei rumori della festa, gli stimoli dell’immaginazione accompagneranno i partecipanti per molto tempo ancora.