Bucchianico

Una passeggiata tra i campi, gli uliveti, vigneti e ficheti, ricordando insieme i tempi dell’infanzia. L’intervistato Francesco Zappacosta e l’intervistatrice si sono ritrovati a raccontare la stessa terra, quei calanchi, le erbe spontanee. E le capriole tra i prati, i giochi con i coetanei. Momenti spensierati vissuti in una natura spontanea e invadente che ha lasciato il segno nel tempo, e oggi assomiglia a un canto di sirena che richiama prepotentemente a sé chi ha pensato di intraprendere altri viaggi.

Sono ancora ben impresse nella memoria di Francesco le arrampicate sui calanchi di quando era bambino e le scavate a mani nude per raccogliere le radici di liquirizia di cui andava matto, le scorrazzate sulla neve fino a che tutti i vestiti non fossero inzuppati d’acqua, le giocate a pallone mentre pascolava le pecore. La nitidezza dei ricordi è la stessa per l’intervistatrice che non ha mai dimenticato le irresistibili mangiate, sui prati, dei “capucci”, steli dell’erba sulla che liberati dalla morbida corteccia sapevano di fresco e dissetavano. Anche Francesco raccoglieva e mangiava i “capucci” sui prati; durante la passeggiata ne raccoglie uno tra le tantissime Sulle disseminate intorno e lo porge a chi avrebbe dovuto fare domande e invece, per il ritrovato sapore bambino, viene risucchiata in un vortice di ricordi belli.  

Un’energia tangibile, trasmessa da una terra sana, curata, amata, rispettata. È la terra di Francesco, che lo guida nello stile di vita dopo che suo padre ha adottato, primo in Abruzzo, le pratiche dell’agricoltura biodinamica. Con lo stesso spirito Francesco esercita la sua professione di architetto, ricerca le proprietà bioclimatiche dei materiali e sostiene la bioedilizia e la bioarchitettura. Conoscitore delle tecniche per costruire case di terra cruda, tipici esempi di architettura rurale dei suoi luoghi, l’architetto fa parte del Centro di Documentazione delle case di Terra (CED) e dell’associazione Terrae onlus. Ha 59 anni, vive tra Bucchianico e Casalincontrada, proprio il paese conosciuto per le case di terra.

Lavora non solo per recuperare le case di terra abbandonate, ma per ricostruire i legami con l’ambiente in cui viviamo, per recuperare le pratiche solidali di vicinato che costituivano l’essenza delle vecchie comunità quando, per esempio, venivano costruite in proprio le case “a terra” o veniva cotto il pane nel forno comune, grazie allo scambio-aiuto. L’agricoltore e l’architetto, dunque, sono perfettamente integrati in un pensiero complesso strutturato sull’unicità, che parte dalla frequentazione della casa di terra dei nonni, a Colle Sant’Antonio di Bucchianico, e approda alla gestione commerciale, e non solo, di un’azienda agricola biodinamica, con marchio Demeter già dal 1978.

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La visione biodinamica, tradizione di famiglia

Olivastro

Al centro dell’agire di Francesco c’è una ritrovata spiritualità che non esclude l’approccio scientifico alla realtà, c’è la incessante volontà di dare senso alle cose. Una sensibilità che si è formata sull’esempio del padre Arcangelo, 95 anni, saggio osservatore dei cicli produttivi delle piante e del cielo, delicato sul terreno con la rinuncia all’uso dei trattori pesanti. Da sempre biodinamico, anche se inconsapevolmente: papà Arcangelo aveva una conoscenza spontanea e pratica delle cose, che continua oggi nei saperi dei figli Francesco e Annamaria.

Quando Arcangelo decise di iscriversi all’associazione Demeter, allora ancora solo tedesca, il metodo di coltivazione biodinamica era sconosciuto da queste parti. Si mise, così, a organizzare gruppi di lettura per far conoscere i libri e le teorie di Rudolf Steiner, il filosofo architetto austriaco considerato il fondatore dell’agricoltura biodinamica, che studiava gli influssi dei corpi celesti sulle coltivazioni al fine di ottenere un ecosistema in equilibrio. L’adesione al pensiero biodinamico è per Francesco anche una visione del mondo che indirizza la vita allo sviluppo armonico della persona e a una formazione culturale che rimette al centro l’interiorità dell’uomo e le sue emozioni. Lo stesso concetto della pedagogia Waldorf, fondata sempre da Steiner, che porta a sviluppare la personalità attraverso un cammino di evoluzione interiore, che apre la strada a un concetto etico dell’essere. Un modo particolare di sentire che Francesco condivide con le persone legate a lui dall’affetto, siano esse familiari, amici, clienti o colleghi, e che applica a ogni ambito della vita e del lavoro. La sua lunga esperienza nel settore biodinamico lo ha portato a diventare responsabile della sezione Abruzzo dell’associazione, tra le più numerose in Italia.

 L’agricoltura biodinamica unisce la radice scientifica all’energia vitale che, come in una osmosi, integra l’uomo, la terra, il cosmo. La biodinamica presuppone un rapporto molto stretto con le piante e gli animali. Lo capisci da come Francesco guarda e tocca i suoi ulivi secolari, in particolar modo un esemplare monumentale di 300 anni e uno della varietà locale “Olivastro di Bucchianico”, oppure dall’orgoglio che mostra per il mandorlo lasciato dalla marchesa Caracciolo. Lo sperimenta sul campo che accarezzare una pianta la fa crescere sana, che considerare unica ogni pianta, con sue caratteristiche specifiche, gli permette di trattarla in modo mirato. La base del suo metodo naturale è scientifica: l’osservazione delle piante, la rotazione delle colture, il riposo del terreno, il compostaggio, la concimazione con il letame, il sovescio gli consentono di intervenire in modo più efficace. Egli si aiuta anche con l’osservazione delle fasi lunari, pratica usata da sempre dai nostri contadini. “I preparati biodinamici, come il corno letame e il cornosilice inseriti nella terra, servono ad accelerare la trasformazione delle sostanze nutritive per le piante. Hanno la stessa funzione di una boccetta di probiotici; allo stesso modo l’acqua passata nel dinamizzatore corrisponde a una cura omeopatica”, precisa Francesco. Il fine ultimo è il benessere del suolo, il suo nutrimento. Tutto il lavoro serve a mantenere integro l’humus in modo che la terra non perda mai la sua fertilità. Questo era l’obiettivo anche del nonno di Francesco che era stato in America negli anni Venti del Novecento e aveva visto gli effetti dei concimi chimici: impoverivano il terreno, gli toglievano umidità e distruggevano i microorganismi.

Fu proprio lui, tornato dall’America, ad acquistare dalla marchesa Caracciolo 25 ettari di terreno, in seguito diviso tra i suoi due figli. Mentre la nonna di Francesco coltivava gelsi, allevava bachi da seta e tesseva.

 

L’Azienda Agricola Biodinamica Francesco Zappacosta

La Signora Filomena

Con circa 13 ettari di estensione, si trova a Bucchianico, in via Colle Marcone, a metà strada tra il Mar Adriatico e il massiccio della Maiella, in un’area di media collina che dagli oltre 200 metri di altezza s.l.m. scende di livello fino alla base dei calanchi. Questi, insieme agli altri limitrofi tra cui le Ripe dello Spagnolo, sono disposti a pettine rispetto al fiume Alento, favorendo la ventilazione che viene anche dalla direzione balcanica, lì dove si apre un varco verso Francavilla al Mare. I calanchi sono poi delimitati da una striscia di vegetazione boschiva con fondo ghiaioso che trattiene l’umidità del vicino ruscello, possiede un buon drenaggio e conserva fresco l’ambiente. Tutti elementi che garantiscono la biodiversità. La terra argillosa dei calanchi, invece, restituisce il calore accumulato fungendo da piccolo forno per i 6 ettari di vigneti che, insieme alle incursioni di aria, dona un carattere particolare ai vini Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo da essi prodotti.  

Nella parte più alta della proprietà si trovano gli ulivi: sono 600 piante, soprattutto della varietà Leccino, per una produzione di olio annuale di 25-30 quintali. Parte dell’appezzamento di terra è dedicata al mais e un’altra parte è occupata da alberi di fico dai quali l’azienda ottiene frutta da confezionare fresca o che trasforma in confettura. Con le mele produce succhi genuini particolarmente adatti ai bambini, mentre i succhi d’uva vengono prodotti da un’azienda tedesca alla quale esporta la materia prima. Molto apprezzate sono le composte d’uva preparate con chicchi separati dai raspi da una sgranatrice che ha sostituito il lavoro manuale eseguito fino a poco tempo fa dalle donne.   

Oltre alla vite e all’ulivo, a contraddistinguere le coltivazioni bio dell’azienda di Francesco Zappacosta sono il grano tenero Pandas, con il quale due volte la settimana vengono preparati 120 chili di pane, cotti al forno a legna, e i pomodori trasformati in passate o pelati, della pregiata varietà locale "a pera". La preparazione è interamente artigianale, nel rispetto della ricetta tradizionale che prevede la cottura dei pomodori nel forno a legna.

I 60 quintali di grano prodotto all’anno vengono separati dalle impurità in un antico svecciatoio al quale Francesco tiene molto. Sia le passate che il pane vengono preparati dalla mamma di Francesco, Filomena, che per panificare adopera solo lievito madre naturale. In questi lavori viene aiutata dall’altra figlia Annamaria, la quale si occupa della custodia dei semi, della semina, del trapianto, della legatura delle piante al sostegno e della raccolta. Il compito delle donne della famiglia Zappacosta è anche la preparazione di formaggi pecorini, destinati al consumo proprio e ottenuti dal latte delle loro pecore. Per nutrire l’humus e mantenere i terreni fertili servono gli animali, sempre foraggiati con i prodotti dei propri campi, perciò in azienda vengono allevati 2 vitelli marchigiani, 3 maiali con i quali vengono preparati salumi per consumo proprio e 3 pecore. In funzione delle condizioni climatiche e qualità pedologiche dei suoli, deve essere trovato il giusto numero e tipo di animali da tenere. La biodinamica intende l’azienda agricola come microcosmo, un “organismo agricolo” con particolare bioma, nel quale agiscono diversi organi: agricoltore, animali, piante erbacee e arboree, suolo, siepi, bosco, stagno, preparati biodinamici, nessuno dei quali può mancare senza compromettere la salute dell’intera azienda.

Annamaria raccoglie e scambia i semi che, quando provengono da terreni diversi, acquisiscono più alta germinabilità e maggiore adattabilità ai diversi microclimi, quindi, sono più fecondi: le varietà ripiantate di anno in anno si adattano nel tempo al terreno, sviluppando una maggiore resistenza all’attacco dei parassiti. La consuetudine allo scambio in passato era anche una forma di protezione: se un agricoltore perdeva il seme, qualcun altro lo conservava salvandolo dall’estinzione. Senza questo scambio si impoverisce la biodiversità e, allo stesso tempo, c’è una progressiva rottura dei rapporti sociali. Annamaria continua a scambiare i semi con alcune donne del vicinato: nella serra da lei curata, in un angolo, si legge la targhetta “Romanelle di Rosetta”, quasi un titolo per una poesia.

L’azienda a conduzione familiare ha due certificazioni: biologico e biodinamico. Contemporaneamente alla lavorazione del terreno, provvede alla pianificazione del paesaggio, con la formazione delle siepi e la cura delle acque. Inoltre, trasforma sul posto i prodotti che coltiva, avvalendosi della presenza di magazzini e laboratori.

 

I vini biodinamici di Francesco

Le vigne ai piedi dei calanchi

Da poco tempo l’azienda biodinamica di Francesco Zappacosta ha aperto anche la cantina da cui escono 5000 bottiglie all’anno. Troviamo botti di legno e di acciaio di varie dimensioni. I vini Montepulciano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo prodotti vengono imbottigliati con il marchio Demeter, garanzia di corrispondenza e fedeltà al territorio. Sono prodotti senza l’uso di lieviti e solfiti, con un’etica di cantina che valorizza unicità, attitudine, personalità e carattere del territorio. Colpisce la limpidezza di questi vini biodinamici che non contengono particelle in sospensione o velature, come spesso accade nel biodinamico, e arrivano al cristallino.

Tornati dalla camminata in campagna, la destinazione è proprio la cantina per la degustazione dei vini. Francesco presta attenzione alle caratteristiche tecniche e organolettiche del suo vino, li vuole delicati e con tannini ridotti, e per questo utilizza la sgranatrice che esercita una pressione leggera sui chicchi. Lavora molto sul colore e sulla qualità. Ma non immagina quanto i suoi vini gli somiglino: chiusi e timidi alla spillatura, hanno bisogno di molto tempo prima che si aprano e rivelino il loro carattere complesso e armonico. Pur utilizzando anche barrique e tonneau, preferisce le botti grandi per non influenzare troppo le caratteristiche del vino.  

È quasi sera quando Francesco spilla il suo Montepulciano d’Abruzzo, lasciato maturare in botte grande di rovere. Dai riflessi rosso rubino, esplode con profumi di frutta, fiori e profumi balsamici che danno una sensazione di benessere. Prima avevamo degustato il suo Cerasuolo d’Abruzzo, da uva Montepulciano, dal classico colore del prodotto abruzzese, tra il rosato e il rosso. Francesco lo fa affinare in tonneau francese, il bouquet aromatico è sostenuto, alla degustazione risulta vivace e impertinente. Anche il suo Trebbiano d’Abruzzo ha un bouquet floreale e fruttato complesso, in bocca si svela a poco a poco nella sua unicità. Questi vini richiamano l’abbinamento ai pasti, l’ampiezza delle sfumature gusto-olfattive li rende versatili e idonei a esaltare le diverse componenti di un piatto. Nella cantina di Francesco, però, si può incontrare anche un vino “da meditazione”, un Trebbiano d’Abruzzo lasciato maturare in botte grande di acacia, quasi un Orange, dal sapore erbaceo, un vino complesso da degustare e scoprire con piacere lento. Conversando con i bicchieri in mano, Francesco racconta la sua visione della vita, l’importanza della filosofia biodinamica, ma mai facendosi intellettuale del vino.

Dall’uva Montepulciano Francesco ricava anche un vino di tradizione abruzzese, liquoroso, da abbinare ai dolci, conosciuto come “vino cotto”. Un vino molto ricercato e rituale, prodotto in modiche quantità nell’area del chietino, soprattutto tra Roccamontepiano, Bucchianico e Casalincontrada. La particolarità del prodotto dell’azienda di Francesco è la consistenza, che lo avvicina al vino cotto delle vecchie generazioni di contadini. Dalla stessa uva ricava pure il mosto cotto, destinato alla preparazione di dolci e dessert.

Una terra sana

Uliveto

Francesco lavora per coltivare e produrre cibo sano, con principi nutritivi che hanno effetti benefici sulla salute, prevengono l’insorgere di patologie e rafforzano il sistema immunitario aiutando lo sviluppo equilibrato dell’individuo. Per questo, per non disperdere le proprietà nutritive, ritiene importante accorciare la filiera, accrescendo i canali di vendita diretta con il retail specializzato e con i gruppi di acquisto solidale. Ma Zappacosta non è soltanto imprenditore agricolo, è anche contadino, si occupa personalmente di alcune coltivazioni. E il tempo che dedica a questo lavoro è aumentato nei due anni di pandemia, durante i quali è stato difficoltoso reperire squadre specializzate per mansioni specifiche. Il suo passato di giocatore di rugby gli ha lasciato muscoli allenati adatti alla potatura dei suoi alberi di ulivo. Un Know-how che ha trasmesso al figlio Andrea e al cognato Filippo per avere un aiuto nel lavoro nei campi. “Tra le nuove generazioni italiane mancano le competenze”, si lamenta Francesco. E affronta anche il problema dello smaltimento dei rifiuti, dell’esigenza per la sua azienda di costruire una economia circolare e di avere una centrale di biogas, praticamente un digestore, soprattutto per gli scarti di potatura. Un impianto che, se pur green, non riesce a convogliare le sinergie di tutti gli attori, pubblici e privati, del territorio.   

È l’ora di salutarsi, la mezza luna alta nel cielo, dello stesso colore del suo Orange, mi aspettava fuori. Non poteva esserci conclusione diversa per una giornata rilassante, che mi ha rimesso in pace con il mondo.

Info: https://www.sinab.it/sinapp/azienda/azienda-agricola-biodinamica-francesco-zappacosta

 

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