di: Abruzzo Marrucino

Quello marrucino? il fico più buono che c'è

Parola di Plinio il Vecchio

Anticamente l’area marrucina di Chieti e il suo circondario - Bucchianico, Casalincontrada, Torrevecchia Teatina, Ripa Teatina, Villamagna, Miglianico, Canosa Sannita, Ari, Filetto, Orsogna, Tollo, fino a Guardiagrele e Casoli - era nota come uno dei territori di maggiore produzione di fichi freschi e secchi.

Ancora oggi il fico si trova in queste terre, con alcune punte di produzione, come quella dell’Azienda Agricola Biodinamica Francesco Zappacosta, tra le colline di Bucchianico, che immette sul mercato una buona quantità di fichi freschi. Mentre le Piane di Caprafico, tra Guardiagrele e Casoli, ricordano nel nome la coltivazione di fichi che sicuramente era abbondante negli anni passati. Infatti il termine “caprifico” sta ad indicare l'individuo maschio che produce il polline con frutti non eduli.

Ma l’associazione più immediata è con il paese di Bucchianico, dove in estate si è svolto per anni la “Sagra del fico e del pernil”, espressione quest’ultima venezuelana che sta a indicare la spalla di maiale cucinata al forno con vari aromi e spezie e tagliata a fette, che ha richiamato gastronauti da tutto l’Abruzzo. L’iniziativa nacque da un ristoratore (Ferrara) nativo di Bucchianico ed emigrato in Venezuela, ricordato con il soprannome “Ciufelette” (fischietto o piccolo fucile) che, una volta rientrato, diffuse la conoscenza di questa pietanza tramite la sagra che poi ha abbinato al prodotto locale più conosciuto, il fico.

È grazie a questa iniziativa se si sono sviluppate nel tempo coltivazioni strutturate di fichi che hanno prodotto anche un movimento economico. Il ristoratore ha poi abbandonato l’organizzazione, proseguita dall’associazione “Le Piane” che per altri anni ha ricavato dalla Sagra i fondi per l’allestimento del carro allegorico dell’omonima contrada per la Festa dei Banderesi di maggio. L’eccessivo impegno e la complessità organizzativa hanno causato l’interruzione della sagra che ha costituito comunque un’esperienza significativa e un esempio su come si può rendere produttiva una manifestazione che vede complementari l’agricoltura e il turismo gastronomico. E ha dimostrato che la coltivazione dei fichi può incentivare l’economia, con la possibilità di rifornire i mercati, interni e limitrofi, di fichi freschi (fioroni, estivi e tardivi) e fichi secchi (carracine), anche lavorati, come i dolciumi (al cioccolato, torroni, confetture).

Plinio il Vecchio lo storico del ficus

Le prime notizie sul fico di quest’area risalgono a Plinio il Vecchio che potrebbe essere definito lo “storico del ficus”. L’autore latino tratta questo argomento nella sua Naturalis Historia. Nel capitolo XXI del secondo tomo, Plinio scrive dei fichi del territorio italiano ed esalta la qualità del fico marrucino:

Tutti i fichi sono morbidi al tatto e, se maturi, hanno all’interno dei granelli: il loro succo è lattiginoso nel corso della maturazione, mentre è simile al miele nel frutto maturo. Essi invecchiano sull’albero e da vecchi stillano gocce simili a gomma. I fichi pregiati sono fatti seccare e conservati in cassette: i migliori e i più grandi sono quelli dell’isola di Ebuso (Ibiza); subito dopo vengono quelli dei Marrucini.  

Secchi, essi possono sostituire al contempo pane e companatico: infatti Catone, fissando con una sorta di legge la razione dei lavoratori dei campi, ne ordina la diminuzione per tutto il periodo in cui i fichi sono maturi. Si è di recente escogitato di mangiare fichi freschi col formaggio al posto del sale.    

Già in Grecia il fico era un alimento diffuso e popolare. Essiccato, si poteva consumare in qualsiasi periodo dell’anno, accompagnato al pane d’orzo e al formaggio di capra, che spesso costituivano un pranzo completo.

Nei miti latini il fico assume caratteri complessi e ambigui: sembra essere sacro a Bacco, dio della linfa e dell’energia vitale; ma il frutto, gonfio di polpa succosa, era anche rivendicato da Priapo, protettore dei giardini. La stessa lavorazione dei fichi secchi si fa risalire ad epoche remote.

Alcuni detti

I fichi sono, nella maggior parte dei casi, locali e naturalmente biologici, nostrani. Si tratta di piantagioni spesso esposte alla degustazione libera ed estemporanea di passanti, ciclisti, automobilisti, in vena di approfittare di frutta che non sempre viene vigilata dai proprietari. Il che giustifica il detto: “A ll’orte de zizì, se nen ce vì tu, ce vaje jì” (Nell’orto di chicchessia, se non ci vai tu ci vado io).

Il frutto viene ricordato anche in altre espressioni dialettali:

-Quant’è bbone quand’è fatte le mirìquele de la fratte,

ma quande se fà le fìquere, va a fallecce le mirìquele.

(Quanto sono buone le more dei rovi mature, ma quando si maturano i fichi, vanno a quel paese le more).

-Se non piove a Sant'Anna... non vedrai fichi sulle cannizze (grate di canne)

In Abruzzo

In Abruzzo conosciamo i fichi con le espressioni dialettali: fiquere, fillacciane, fullàcchie.

La nostra regione ha vantato nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento una discreta produzione di fichi bianchi (fiquera bbianche) e neri (fiquera nere), preceduti dai fioroni (fillacciane), le tre tipologie che ne caratterizzano la coltivazione, un tempo più curata e sviluppata. Attualmente la produzione è scesa, anche se non mancano campi di fichi ben organizzati e seguiti anche dal punto di vista della qualità. Di conseguenza viene mantenuta anche la produzione di fichi secchi, impiegati localmente per realizzare torroni di fichi o uniti al cioccolato, noci, mandorle.

Bucchianico isola produttiva

Bucchianico è stata e rimane un’isola produttiva dei fichi. Il paese si trova su un colle affacciato sul fiume Alento, a circa 10 chilometri dal capoluogo marrucino Chieti, l’antica Teate Marrucinorum.

È un territorio a preminente attività agricola (grano, olivo, vite, ortaggi, frutta, ecc.) che vanta prodotti di particolare qualità (olio d’oliva, principalmente), ma che per anni ha anche sviluppato la coltivazione di fichi, per lo più bianchi (fìquera grasse), ma anche neri e rosso-viola, soprattutto nella Contrada Piane, una delle tante che caratterizzano il territorio comunale. Bucchianico è nota e apprezzata per le varietà brogiotto, negricelle, moro, reale (leggi le altre varietà abruzzesi).

I fichi, freschi o secchi, sono utilizzati anche per dare gusto, sapore e colore a vari piatti di carne e anche di pesce. Ogni esperimento può riservare una gradevole e piacevole sorpresa.

I fichi sono anche alla base di alcuni dolci e di un torrone di fichi secchi pressati e aromatizzati con spezie e uniti a mandorle e noci. Particolarmente consumati nel periodo natalizio, possono essere gustati nella Pasticceria Gentile.

Il cambiamento dei gusti e dei consumi, e il conseguente crollo delle coltivazioni che ha avuto ripercussioni sui mercati, ha spostato il fico in pochi anni tra i cosiddetti “frutti minori”. Lo ha relegato ai margini dell’agricoltura produttiva, sottraendolo anche alle cure e alle attenzioni di cui un tempo godeva e confinandolo sempre più a un ristretto uso colturale e alimentare.

Molte notizie sono state tratte da: Mario D’Alessandro, Il Fico Marrucino da Plinio il Vecchio ai tempi moderni, 2019

La pupa di fichi secchi

A Guardiagrele, il giorno di Santa Lucia (13 dicembre), era usanza regalare alle bambine le pupe e ai bimbi i cavalli, costruiti con i fichi secchi.

Era un cibo-giocattolo, ma anche un gioco: si costruiva e si distruggeva mangiandolo e, quindi, si rinnovava.

I “carracìni”, i fichi essiccati al sole, si infilzavano in piccole stecche ricavate dallo spacco ad arte delle canne, foggiate in modo da formare lo scheletro del dono; le pupe e i cavalli poi si vestivano con tessuti o carte colorate, si addobbavano con fiocchi, le facce dipinte, a volte un po’ strane quasi da mettere paura o sorridenti nonostante li aspettasse il destino di essere mangiati.

Le bambine partecipavano anche alla costruzione dei giocattoli e imparavano il mestiere della creazione; invece i maschietti, più privilegiati, avuto il regalo, dovevano solo disfarlo e mangiarlo.

Il rispetto per il regalo ricevuto voleva però che pupe e cavalli non fossero mangiati subito, ma che si aspettasse qualche giorno per disfarli e l’attesa aumentava il desiderio e dilatava il tempo del gioco.

I giocattoli sono belli da costruire ma forse ancora di più da distruggere: la distruzione per questi incredibili giocattoli coincideva con un atto di cannibalismo dolce, venivano non distrutti ma recepiti dalle papille gustative e trasformati in energia in un ciclo di eterno rinnovo.

Tratto dal libro La cucina della Maiella. Storie e ricette, Lucio Biancatelli, Gino Primavera, Ed. ORME|TARKA

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