di: Anna Crisante

Concerto in forma di rito sperimentato alla Casa di Teresa

Dal al

Casalincontrada


Dalla musica allo strumento voce. La ricerca della spontaneità popolare nell’arte musicale di Hiram e Massimiliano

Mand' mà BEAT è un concerto in forma di rito che è stato sperimentato e perfezionato nella Casa di Teresa, laboratorio della terra cruda e residenza artistica gestita dal Ced Terra. In alcune fredde giornate di marzo, con la neve ancora ammucchiata lungo le strade di Casalincontrada, i muri di terra cruda della Casa hanno conservato la temperatura ideale per accogliere i giovani musicisti e ricercatori Hiram Salsano e Massimiliano di Carlo. La luce calda riflessa dalle pareti, il suono morbido e avvolgente restituito dal materiale naturale, l’isolamento acustico della tipica dimora della ruralità del luogo hanno fatto il resto. In questa immersione surreale, con il tempo scandito soltanto dal ritmo degli strumenti, i due musicisti hanno provato le sonorità di strumenti rudimentali autocostruiti e strumenti elettronici di nuova generazione. Una contaminazione per sperimentare la ricerca di un linguaggio che rispetti i codici e l’arcaicità tradizionali, ma che allo stesso tempo provi a interagire con le più attuali forme di creazione musicale, loop station, suoni elettronici e stili urbani.

I due ricercatori guardano alle origini della musica agropastorale del centro e sud Italia, alle sue evocazioni narrative, e ancora più oltre, sembrano voler scavare per ritrovare l’essenza del suono, le vocalità impresse nel loro codice genetico. A volte le parole si sciolgono in uno scorrere fluente di voci che rimangono unico strumento a toccare le sensazioni più profonde.

 

 

concerto Casa Teresa

Massimiliano di Carlo, trentaquattrenne originario di Ascoli Piceno, ma residente a Loreto Aprutino, è docente del primo Corso sulle Musiche tradizionali abruzzesi e la Sperimentazione vocale, che ha avuto inizio questo anno al Conservatorio di Pescara "Luisa D’Annunzio", importante presenza istituzionale sul territorio per conoscere la cultura di matrice orale.

Tra un pezzo e l’altro dice: “Quando abitavo in Germania tornavo per fare ricerca sui canti tradizionali. Mio nonno suonava l’organetto, ma finché sono rimasto nella mia terra lo strumento non mi attirava. Poi, stando a Berlino mi è scattata la curiosità. Nel mio percorso di scoperta, o meglio di riscoperta in quanto nonno Angelo Sciamanna era suonatore di du bott e poeta nel mio paese, la trisnonna Merena suonava lu cembera (tamburo a cornice), mi sono posto sempre come uomo e non come un ricercatore scientifico in cerca di dati. Da piccolo frequentavo le feste ad Ascoli, duravano giorni, assistivo ai balli devozionali e oggi voglio capirne l’origine e il significato. Il turismo etnico si sta esaurendo, invece serve essere presente a una festa in veste di ascoltatore, serve per lo studio. Per gli anziani il canto è una parte del linguaggio, non deve simboleggiare qualcosa, se non stai in questo divenire la uccidi questa musica qui. Con la mia associazione vado a prendere gli anziani per farli partecipare alle feste, loro cantano, è un gioco. Ciò che più mi incuriosisce è l’esperienza che vivo nell’incontro con gli anziani, conoscerli, e farmi conoscere, passare del tempo con loro per capire veramente cosa pensano sulla vita, l’amore, la musica.

I miei studi provengono dal conservatorio di musica, ma ho dovuto dimenticare ciò che ho appreso perché per studiare la musica popolare ci vuole un altro modo di apprendere il suono, altrimenti non ci arrivi mai. In Occidente la scrittura dal ‘600 diventa fondamentale, ma ha inibito la creatività e creato delle marginalità. È bello creare un interesse verso ciò che è spontaneo. Ho recuperato e sviluppato la voce naturale, parlata e cantata, basata sul gioco e l’ascolto. Da musicista in ambito classico e sperimentale, ho sviluppato questa metodologia grazie al lavoro svolto con i bambini da 0 a 4 anni. Il mio ruolo era quello di insegnare, ma da subito ho compreso di essere l’allievo di neonati da cui reimparare come ascoltare profondamente e come giocare con la voce. Dopodiché ho appreso il canto diafonico dal maestro vietnamita Tran Quang Hai, le basi della musica classica indiana con Amelia Cuni per poi tornare “a casa”, a ricercare e imparare le vocalità tradizionali dei miei luoghi di origine, l’Appennino centro-meridionale. Ho iniziato così a insegnare a musicoterapisti, cantanti, strumentisti e curiosi dello strumento voce, ho studiato i reperti tradizionali dei canti di lavoro, a ballo, canti narrativi, canti a batocco (botta e risposta); ancora, il discanto, polifonia che proviene dalla musica rinascimentale, i canti all’altalena del chietino eseguiti dalle ragazze sull’altalena, un canto-gioco praticato come forma di passaggio attraverso un gesto simbolico. Mi interessano questi aspetti antropologici legati all’uso rituale della voce nelle culture tradizionali”.

Ma a contraddistinguere in modo particolare l’interesse di Massimiliano è lo studio della voce naturale, quel complesso fenomeno che lega le corde vocali all’orecchio interno, al nostro modo di parlare, al dialetto che abbiamo assorbito da bambini, e a tutte le memorie fisiche e simboliche di cui ci siamo impregnati dalla nascita. Cantare con la voce naturale vuol dire rimettere in luce la nostra parte profonda, intima, slegata dai filtri estetici e tecnici che abbiamo aggiunto in fase adulta. 

È lo stesso studio della voce naturale a unire Massimiliano a Hiram Salsano, trentatreenne che viene dal confine tra Salerno e Napoli, con la quale canta e suona da un anno. “Ho incontrato un gruppo di ragazzi che facevano canto tradizionale – racconta Hiram - e ho iniziato insieme a loro una ricerca e a raccogliere canti di anziani, di lavoro o dedicato al ballo. Avevo circa 15 anni. L’intenzione era costruire un repertorio personale. Da noi ci sono tante occasioni in cui cantare, come le feste mariane. Alcuni canti che esistono in Abruzzo esistono anche in Campania, in Puglia. Sono canti nati da esperienze vissute dagli anziani”.

Per entrambi fare ascoltare sonorità particolari, stabilire relazioni e condividere i suoni è diventata una missione e una sfida.

Massimiliano, attraverso l’associazione "Alberi di maggio", cura un corso on line disponibile in inglese e francese, che ha il fine di esplorare le infinite potenzialità dello strumento voce attraverso il gioco, l’ascolto e l’imitazione, recuperando ciò che si fa sin da bambini. “La Voce Naturale” è pensato per i professionisti e non, musicoterapisti e ricercatori.

Alberi di maggio è un’associazione di ricerca, studio e divulgazione del patrimonio culturale di tradizione orale dell'area di confine tra Marche e Abruzzo, con sede a Loreto Aprutino. Si interessa di musica, narrazione, danza, costruzione di strumenti, erboristica. Una delle attività di Alberi di maggio è la ricerca e la divulgazione delle conoscenze tradizionali riguardanti l'utilizzo dei materiali naturali per la costruzione, la terra, la paglia, la calce. Sostiene l’uso terapeutico della musica che oggi si sta riscoprendo. Lo stesso Massimiliano sta svolgendo uno studio scientifico sull’acufene in collaborazione con un centro medico privato. Parte del materiale storico archiviato può essere consultato sul sito www.alberidimaggio.com.

“L’archivio di Alberi di maggio si basa principalmente sulle registrazioni effettuate da me dal 2014 al 2020 – precisa Massimiliano - per testimoniare la vitalità attuale della cultura orale, che se ricercata, incontrata, studiata e amata permette la prosecuzione naturale senza il bisogno di apportare invenzioni e creazioni forzate. Questo archivio vuole sfatare i luoghi comuni creati spesso dagli stessi ricercatori, non tutti per fortuna, secondo i quali tutto si è fermato nei tempi passati. Inoltre in questo archivio ho voluto inserire le sonorità tradizionali delle culture extranazionali che sono presenti sul territorio di Marche e Abruzzo, con cui ho tessuto rapporti umani e artistici per rivalutare oggi più che mai il significato del termine “locale”, ricordando che quello che chiamiamo nostra cultura risente della stratificazione sempre dinamica degli ultimi secoli in cui abbiamo avuto contatti stretti con Spagnoli, Albanesi, Arabi, francesi, Rom e molte altre etnie che da sempre, a parte oggi in questo strano periodo di paura nei confronti della diversità, si sono organicamente mescolate a noi.

Dopo il percorso di studio della musica classica in conservatorio, la professione decennale di musicista e l’esplorazione dei linguaggi extra-classici come il jazz, il pop, la musica sperimentale elettro-acustica, ho sentito l’esigenza di scoprire a fondo il suono della musica di tradizione orale, comprenderne i codici, le regole improvvisative.

Dopo vari tentativi ho intuito che si potesse veramente fare questo percorso attraverso la frequentazione assidua e vissuta degli anziani portatori di questo suono, e dei contesti reali in cui questo suono si manifesta, ovvero le Feste. Sia quelle che si creano spontaneamente nelle case, sia quelle nei Santuari e nelle ricorrenze rituali cristiane a cui è ancora sentita una partecipazione laica che ha i suoi riti, i suoni canti, le sue preghiere che possono chiamarsi ballo, saltarello, canti, sorrisi, tensioni da sciogliere, incontri, conoscenza”.

Non manca, naturalmente, l’uso degli strumenti musicali, anche autocostruiti, alcuni dei quali hanno accompagnato i due musicisti alla Casa di Teresa: calascione, tamburelli, zampogna, zucca, ciaramella, tromba, la ciarrapica che si sfila dalla corteccia quando i castagni si innamorano.

Siccome le case di terra sono vive, hanno assorbito i suoni, si sono scosse con le vibrazioni. Questa esperienza non si è esaurita in uno spazio fisico, ma continuerà nel tempo, trasportata dalla memoria impressa nella terra. E noi possiamo ascoltarla nei muri che ne conservano l’eco.

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