Bucchianico

L’artista Michela Di Lanzo, trentotto anni, ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte di Chieti, Corso di Pittura e Decorazione. Si laurea all’Accademia di Belle Arti di Urbino, dove frequenta un corso tradizionale di pittura, sperimenta la modellistica per il teatro e la scenografia, prepara maschere in 3D.

Tornata a casa, nella sua piccola Bucchianico, presto sente che questo mondo, familiare ed estraneo allo stesso tempo, gli va stretto e decide di continuare la sua ricerca artistica altrove. Si trasferisce, quindi, a Berlino nel 2010 e risiede nel quartiere turco dell’Est. Lì ho rafforzato la mia visione artistica e la mia passione per il bianco e nero – racconta Michela -. Ci sono tre ore di luce al giorno e molta neve. Mi sono confrontata con la sintesi delle cose, l’essenzialità, la chiarezza nel metodo, gli spazi industriali grigi, in fondo un bianco e nero anche quelli. Ho eliminato la ricchezza cromatica e sono ripartita dal bianco e nero, dal contrasto”.

Ma la Berlino vissuta si rivela una città di passaggio, veloce, dove non si fa in tempo a stringere rapporti, pur rappresentando una tappa fondamentale del percorso artistico di Michela: “qui ho capito, nella lontananza, cosa amassi davvero: la dimensione umana della mia gente. Mi sono scontrata con la metropoli, la solitudine dello spazio infinito, la sensazione di non essere nessuno, mentre in paese ero solo diversa. Non ero felice e ho capito che a rendermi felice erano il disegno, la montagna e casa mia. Sono tornata dopo un anno e mezzo. Tutto si è ridimensionato in un foglio di carta semplice, volevo lavorare per e nella mia terra. Ho iniziato a recuperare le storie degli anziani, le loro narrazioni di forni in comune, di balli e uova fresche”. Così Michela inizia a dedicare tutta la sua ricerca artistica al territorio.

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Dal bianco e nero al colore

grafismo

Il paesaggio osservato quotidianamente da Michela nella terra d’origine inizia a modificare la sua sensibilità cromatica. “Oggi la prima immagine che vedo quando apro gli occhi la mattina è la piana di Mammarosa. Berlino mi aveva aiutato molto a pulire il disegno, l’orizzonte spesso è bianco e un punto nero non ha nessun riferimento spaziale, avevo eliminato il colore. Ma durante il lockdown dovuto alla pandemia ho ricominciato a usarlo, volevo mettere un po’ di gioia in un periodo in cui per la prima volta non avevo obiettivi. Ho introdotto ne “La Martavella” una pienezza nelle creazioni grafiche, ed è stata una bella scoperta. Per molto tempo il colore è stato un tormento quotidiano e fisso, ma capire di riuscire ad esercitare il massimo controllo su di esso e di realizzare l’esatta tonalità che avevo in mente, mi ha spinto a riaccoglierlo nei miei lavori, in fondo ne avevo bisogno”. Michela comincia a considerare il rosso il punto massimo di luce.

Il periodo bolognese

A Bologna, nel 2013, ha avuto il primo vero approccio con l’editoria, la stampa indipendente, la carta stampata, i colori tipografici per i libri. “Il mio must sono diventati i colori piatti ma stesi con il pennello per trasmettere la morbidezza, mentre per tutti i neri uso i pennini che rappresentano la durezza. Ancora il contrasto. In questa città ho iniziato i lavori di autoproduzione, unico racconto in un’unica tavola, un’illustrazione singola diventava una microstoria, senza l’aggiunta delle parole. L’esperienza è stata una palestra per approdare ai lavori che realizzo oggi: uso le immagini per interpretare un testo. Questo è ciò che voglio fare da grande e che volevo fare anche prima, leggere libri e disegnarli.

La street art come libertà

Murales a Bucchianico

“La street art è l’unica parte libera del mio lavoro, prevalentemente senza una committenza – dice Di Lanzo -. È un lavoro anche fisico, coinvolge tutto il corpo, bisogna seguire i ritmi del tempo meteorologico, organizzarsi in base al sole o alla pioggia, ma è anche un lavoro mentale. Mi dà un senso di libertà. Il primo lavoro, non autorizzato, l’ho fatto sulla costa e mi sono resa conto che potevo lavorare sulle grandi superfici e partecipare ai bandi”.

Ha realizzato murali a Roma, sotto il GRA; a Bologna; all’interno di un Festival di Atessa; nella piazza del teatro di Penne; all’interno della caserma Cocco di Pescara; a Bucchianico; nel Centro sociale Zona22 di San Vito Chietino; nel sottopasso pedonale del terminal bus di Chieti; in via Maiella che conduce al Theate Center. L’anno scorso ho realizzato un murale di 16 m. x 14 m. a San Benedetto in Perillis, paese diventato “Borgo del libro”, durante il Festival dei Libri dell’entroterra. Attualmente sta illustrando un altro libro.

La Martavella, raccolta illustrata di antiche fiabe

morbidezza

L’illustrazione di Michela per il libro “La Martavella” ha rappresentato la svolta artistica. L’Album d’artista contiene nove fiabe tramandate dall’esploratore ottocentesco Antonio De Nino, storie passate di bocca in bocca nei secoli scorsi, ripetute accanto al giaciglio dei più piccoli, raccontate intorno al focolare o recitate mentre si lavorava in campagna per sentir meno il peso della fatica. La produzione letteraria di De Nino è ormai introvabile e di rara consultazione. Egli per primo si preoccupò di raccogliere il patrimonio culturale delle nostre genti, andando a scovarlo negli angoli più reconditi. La sua raccolta di novelle popolari, trascritte in sei volumi con il titolo “Usi e Costumi”, è un’opera omnia dell’Abruzzo popolare.

“L’illustrazione di questo libro ha rappresentato – racconta ancora Michela - la nuova speranza e un obiettivo dopo la pandemia. In questo lavoro ho reintrodotto il colore, prepotente. Sono tornata alla vita facendo quello che volevo fare da grande, illustrare libri. In più De Nino è un autore che mi corrisponde, lo considero il mio padre putativo, con la sua ABC di tutta la tradizione abruzzese. Potrei essere il suo corrispondente femminile”.

Michela sta facendo della sua terra arcaica il motore di spinta della propria ricerca artistica. I tempi lunghi della natura, i suoi cicli, la morte, prendono il sopravvento nei suoi disegni che raccontano storie di tradizione orale, fiabe come metafora per esorcizzare i mali del mondo. Attraverso esse l’illustratrice fa emergere le Bestie, la natura, i boschi, i fiori. Infatti nelle sue illustrazioni l’uomo quasi non esiste, è al margine, non partecipa ai processi di trasformazione delle narrazioni. Il simbolismo e le forme ammiccanti sono gli elementi che connotano la sua cifra stilistica. Con il segno grafico restituisce il tatto, ci fa accarezzare la morbidezza di un tessuto, il calore della pelle.

“Non sono didascalica e descrittiva, ma evocativa, quindi inserire un simbolo, che diventa la chiave di lettura della rappresentazione, è quello che più adoro. Non mi piace essere invadente con la mia immaginazione, quindi, con i simboli riesco a rispettare la fantasia degli altri, introduco un concetto di riassunto rispetto a elementi più complessi. Per esempio, la mosca, nata dalla carne putrefatta, è simbolo di morte; il gallo è simbolo di supremazia maschile, ma anche di bellezza estetica. È colui che decide quando svegliarsi e quando dormire, come un re decide per il suo popolo; gli uccelli esprimono il senso del mistero e i fiori sono il simbolo della primavera che mi appartiene biologicamente. I santi sono un limbo, coloro che sono andati oltre la materia e si sono riuniti alla natura. Il serpente è l’elemento geometrico al quale poter dare molte forme, mi affascina per questo. Come da sempre mi ha affascinato il bosco e i suoi animali e il sottobosco della Maiella”, con i suoi ambienti umidi, nascosti, misteriosi.

La Martavella è un’antica rete da pesca utilizzata per intrappolare i pesci nei guadi e nei laghi. La stessa con la quale l’illustratrice cattura gli animali, soprattutto quelli all’origine dell’evoluzione della specie, serpenti, rane, scimmie. Come alla sua origine è tornata Michela, la sua terra, le tradizioni, i racconti dei contadini.

Di Lanzo maneggia le favole come fossero un giocattolo, ne smonta le parti e le rimonta in una forma nuova. Si lascia sfidare dalle loro combinazioni nascoste, cerca i punti di congiunzione, gli incastri per comunicare un pensiero inedito, non immaginabile, accentuando il nonsense dei racconti popolari, quelli che hanno il solo scopo di stare bene insieme.   

Le sue illustrazioni sono una favola dentro la favola, vivono di vita propria, rispettano il linguaggio diverso dell’arte pittorica, ma restituiscono l’incanto del racconto originario, la sua magia, la mescolanza dei pensieri. Sono pensate anche per essere ammirate e godute nelle loro forme armoniche. I colori entrano in contatto con le nostre emozioni più profonde e ci riportano allo stupore infantile, alla meraviglia della scoperta.

 

Lettura consigliata!

"Fest'e fiera". Ancora fiabe nel secondo album d'artista

"Fest'e fiera"

Un viaggio lungo un anno. Con partenza fissata durante il ballo della Pupa dedicato a Santa Lucia e destinazione raggiunta nel giorno della processione dei "cornuti" di San Martino. 

In questo nuovo album d'artista, Michela Di Lanzo torna a esplorare gli aspetti arcaici della sua regione, confrontandosi con alcuni dei riti più importanti della tradizione raccontati dalla penna esperta di Adriana Gandolfi.

Percorrendo il ciclico susseguirsi delle stagioni, le due ricostruiscono, con segni e disegni, la storia e le storie che si celano dietro alcune delle più conosciute feste d'Abruzzo, plasmate nei secoli dall'andirivieni del calendario solare e lunare che da sempre guida i ritmi produttivi della cultura agropastorale. 

Un pensiero conclusivo

Il percorso artistico di Michela è incentrato sulla rivisitazione delle figure archetipiche del folklore abruzzese, con i suoi animali totemici, come quelli “catturati” in questo libro. L’illustratrice reinterpreta anche i santini più iconici della religione popolare locale, da sant’Antonio Abate, a San Domenico, a Sant’Anna.

“Abbiamo il desiderio di continuare a tramandare i racconti popolari attraverso linguaggi innovativi e sperimentali, senza snaturarne l’essenza, riproponendo la riscoperta deniniana in chiave contemporanea con le illustrazioni dissacranti di Michela Di Lanzo, pescatrice di creature mostruose negli abissi dell’immaginazione con la sua Martavella di inchiostro, degna erede di quegli artisti abruzzesi, come Patini, Cascella, Michetti, che contribuirono a internazionalizzare la cultura abruzzese. Custodi di memorie tramandate e alla ricerca di nuove forme per rappresentarle”, dice Antonio Secondo che cura la Collana edita da radici Edizioni.

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