Alla fine del secolo scorso, il Censimento sulle case di terra promosso dalla Regione Abruzzo ne contava ancora poco più di 800 distribuite sul territorio di circa 40 Comuni. Erano quanto rimaneva in Abruzzo delle 6875 costruzioni in terra, secondo l’indagine dell’Istituto Centrale di Statistica del 1934 sulla condizione abitativa rurale (“Architettura “povera” e restauro. Le case di terra in Abruzzo”, di Ambrantonella Lattanzio).
Le case di terra si diffusero intorno al 1850 in seguito alla profonda modificazione della struttura agraria dovuta alla divisione delle proprietà, alla maggiore sicurezza delle campagne e all’incremento demografico. Ma la loro localizzazione fu prevalentemente sui fondi della pianura–collina anziché in nuclei lontani dai campi. Fu una sorta di colonizzazione interna che vide i poveri della montagna scendere per darsi all’agricoltura. Si delineò così un insediamento sparso di edilizia rurale o al massimo borgate di case riunite.
Le ultime case di terra e paglia vengono realizzate nell’immediato dopoguerra, quando la maggior parte delle fornaci erano state distrutte e risultava utile recuperare la terra come materiale da costruzione, ma dai catasti onciari sappiamo che sono presenti già dal Settecento, testimoni del processo di trasformazione delle campagne.
Le case di terra cruda denunciano il materiale con cui sono realizzate. Raramente intonacate, si integrano con la terra arata della collina litoranea abruzzese e marchigiana. In queste due regioni prevale la tecnica costruttiva del “massone” denominata “bauge” in Francia e “cob” in Gran Bretagna.
Prevalenti sono la tipologia a blocco a un piano e quella che sovrappone l’abitazione al rustico, collegati attraverso una scala esterna. L’elemento caratteristico di quest’ultima tipologia è la loggia, per lo più in cotto.
Lo spessore delle mura svolge un’azione di regolamentazione dell’umidità presente negli ambienti, un polmone che filtra e respira.
Le case di terra sono ancora diffuse nella campagna abruzzese come elementi isolati, miracolosamente sopravvissute alla colata di cemento delle nostre periferie che le hanno inglobate. Sono l’elemento architettonico caratteristico del paesaggio rurale abruzzese e in particolar modo dell’area di Abruzzo Marrucino.
In alcuni casi sono ancora abitate o partecipano a progetti che ne propongono un riuso a fini abitativi e ricettivi. Proprio a Casalincontrada si sta strutturando un’accoglienza rurale con l’albergo diffuso costituito da case di terra cruda ristrutturate che conservano l’originalità del paesaggio rurale nel Subappennino abruzzese. Costruzioni isolate sul fondo agricolo, spesso in argilla e paglia dette “pinciaie”, costellano ancora i crinali e le sommità delle colline. Spesso associate all’idea di povertà e all’arretratezza della campagna, le case di terra cruda erano anche un prodotto spontaneo dell’intelligenza e del sapere del luogo, tanto da poter parlare di una “civiltà della terra cruda” diffusa in epoca sia antica che moderna e che corrispondeva a una sapienza ambientale legata alle necessità materiali.
Lo stesso filologo e storico Cesare De Lollis, qui nato, all’inizio del secolo scorso chiamava le case di terra “grezze catapecchie” e nella sua narrazione le collocava in un ambiente primitivo descrivendole con piccolissime finestre e un pianterreno riservato al bestiame, al quale si accedeva tramite una scala a pioli.