di: Anna Crisante

Il pomodoro, frutto che resiste a tutte le mode

Quello Del Fronte per coltivare la memoria

È sinonimo di italianità, sta alla base di tante ricette della dieta mediterranea. Pur essendo arrivato solo in epoca moderna, è diventato l’ingrediente principale dei due piatti simbolo del Bel Paese: la pasta asciutta e la pizza. Il pomodoro è il protagonista delle nostre tavole estive, sia durante pranzi impegnativi, quando è condimento ricco con lunga preparazione, sia nelle scampagnate o nelle gite fuoriporta in cui si accompagna a cibi dalle soluzioni fredde e veloci.

Nelle campagne dell’area marrucina occupa una buona parte degli orti, ed è il frutto della terra che resiste ancora nelle coltivazioni a uso familiare. Perché produrre i pomodori non ha soltanto un valore economico, ha una importante valenza sociale che mantiene viva la tradizione: favorisce la convivialità e garantisce il rifornimento di cibo buono, sano ed etico.

Il ristorante La Dea di Casalincontrada ha una produzione propria di pomodori che fa arrivare a tavola con piatti a Km 0, l’Azienda Agricola Biodinamica Francesco Zappacosta di Bucchianico distribuisce a gruppi di acquisto le “bottiglie” di pomodoro, salsa ottenuta con metodo tradizionale dai pomodori cotti al forno a legna. L’esperto in Scienze Gastronomiche Gino Primavera di Guardiagrele ha per il pomodoro un’autentica passione. Bella storia il suo recupero dei ‘pomodori del fronte’, i pomodori della “memoria”: “Era il 1943 e gli alleati erano arrivati sulle Piane di Caprafico, a pochi chilometri da Guardiagrele. Da qui gli abitanti tentavano di attraversare la linea Gustav per sfuggire all’occupazione tedesca e raggiungere sulle Piane la libertà. Da alcuni anni la sez. CAI di Guardiagrele organizza ogni anno un evento della memoria ripercorrendo il sentiero utilizzato per passare il fronte e arrivare alle Piane dove c’erano le postazioni inglesi. Alcuni anni fa, partecipando a questa testimonianza storica, durante il percorso notai davanti una casa una bella ‘appesarella’ (pomodori legati con lo spago e appesi) di pomodori, di quelli che si conservano per l’inverno, belli e ancora integri nonostante ci trovassimo alla fine di aprile e in genere le ‘appesarelle’ non duravano tanto. Chiesi all’anziano testimone della guerra, seduto su una sedia impagliata, che sembrava fare la guardia ai pomodori che rosseggiavano alle sue spalle, da dove venissero quei pomodori così resistenti al tempo. Mi disse, laconico, che i semi gli erano stati donati da un tedesco nel ’43 e lui li aveva riprodotti ogni anno per ricordare cos’era accaduto in quei tempi di guerra. Gliene chiesi giusto tre, belli turgidi e maturi, e lui scelse i più belli e allungò la mano per consegnarmeli. Ne ho fatto tesoro estraendo da essi quei semi antichi che ogni anno risemino nel mio orto e regalo agli amici che vogliono avere la memoria di quello che è stato”.

Gino si dedica alla conservazione di semi antichi, difficili da reperire. Ha una sua piccola banca dei semi e contribuisce a reintrodurre colture quasi estinte come quella dei fagioli a pisello, bianchi e dolci, delicati nel sapore e resistenti nella buccia, oppure dei pomodori Cherokee, di antica origine americana, pare fossero coltivati dagli Incas.

 

Il pomodoro, un cult

Nel suo orto, Primavera coltiva anche le varietà pregiate pomodoro “a pera” abruzzese e il “mezzo tempo” vastese, indispensabile quest’ultimo per preparare il brodetto di pesce, varietà queste presenti su tutto il territorio, dalla costa alle zone pedemontane. Nel suo libro ‘La cucina della Maiella’ scrive: “nella nostra cucina i pomodori trovano il loro uso più classico nelle “buttije” (bottiglie), che ancora molte famiglie preparano durante i mesi estivi con un rituale che poco o nulla è cambiato nel tempo… “Passate” o “a pizzitte” (a pezzi), cotta o cruda, con i peperoni (“pipidigne e pummadore”), ancora oggi la “buttije di pummadòre” resiste alle malìe delle passate da supermercato”.

Le “bottiglie” sono un vero e proprio cult della cultura rurale abruzzese, arrivando persino a diventare un “totem”, definizione della docente di Antropologia Culturale dell’Università D’Annunzio, Lia Giancristofaro.

“Le bottiglie di pomodoro fatte in casa – scrive Rodrigo Cieri - assumono il significato del “bene intangibile” e rientrano in un rituale legato al giorno della bottiglia, giorno sacro, in cui le famiglie si ricompongono legate dalla forte emozione. La salsa fatta in casa ha il suo ciclo completo in loco e tuttavia, quasi in forma sotterranea, dai garage e cantine delle nostre abitazioni, viene esportata nelle città del centro e del nord Italia.

 La “bottiglia” anche impolverata della cantina è un’altra cosa (rispetto alla confezione che si trova in commercio). È un sapere e un sapore di casa. Si evolvono le tecniche, ma quell’emozione legata al valore patrimoniale è unica, intangibile.

Personalmente faccio parte di quelli che da ragazzo, chiamato da vari parenti e famiglie amiche, legava i tappi di sughero con lo spago. Senza guanti lascio immaginare i segni lasciati sulle mani. Anch’io, prima dell’acquisto dell’ultima macchinetta elettrica, ho legato la vecchia, di cui ero addetto a girare la manovella, al motore della lavatrice. E che velocità! Bisognava sbrigarsi e con il mestolo ben capiente a versare il pomodoro bollente perché venisse ‘passato’.

E poi l’emozione finale! Che sudata per far bollire le cento bottiglie a bagnomaria dentro il caldaio di rame con la fiamma delle ceppe!”

“Si tratta di una eredità contadina - spiega la professoressa Giancristofaro - che stiamo traghettando nel futuro… mantiene una grande carica di voglia di fare, di entusiasmo e soprattutto di unità familiare. Eredità contadina contenuta nella pratica di mettere da parte un prodotto quando è in esubero per consumarlo nei periodi di carenza”.

Il giorno della passata inizia presto, anche alle 4-5 del mattino. Secondo la studiosa “la tradizione della preparazione casalinga della passata è una forma sommersa di folclore della quotidianità dell’estate, un ricordo di quando eravamo poveri prima del boom economico… il pasto per chi è lontano dalla terra d’origine diventa anche il pasto per la mente”.

Del pomodoro in cucina Giancristofaro ha parlato nel libro Tomato Day: la salsa di pomodoro viene citata per la prima volta nel 1692, ma bisogna aspettare il 1839 per vederla abbinata alla pasta come condimento. La produzione casalinga della passata è cambiata molto negli ultimi ’70 -‘80 anni. In Abruzzo e Molise si è iniziato a fare uso delle bottiglie solo dopo il passaggio del fronte di guerra. Allora le truppe alleate erano vettovagliate con prodotti a lunga conservazione imbottigliati. Dopo il loro passaggio i ragazzi venivano mandati a esplorare i resti degli accampamenti e recuperavano le bottiglie vuote che venivano riutilizzate per usi casalinghi, che prevedevano la bollitura, quindi principalmente la passata. E dalla rivoluzione delle bottiglie si è rapidamente passati a quella dei tappi. L’utilizzo di quelli a corona è storia recente. I primi tappi erano i torsoli delle pannocchie di granturco intagliati e legati alla bottiglia con dello spago. In seguito arrivarono i tappi di sughero. Per la preparazione della passata si usava il setaccio, poi è arrivata la macchinetta a manovella che è stata portata anche oltreoceano dai nostri emigranti. Negli anni Ottanta è arrivato il passapomodoro elettrico, già inventato prima attaccando al passapomodoro a manovella il motore a due tempi della lavatrice. Ora le macchine passapomodoro elettriche sono sempre più sofisticate, ma l’evoluzione tecnologica non riesce a scalfire la sacralità antica del rito per la preparazione del liquido rosso che è un vero e proprio totem della famiglia italiana. La passata di pomodoro nell’inverno continuerà a parlare di casa, famiglia e radici.

Lo spuntino tipico del giorno della passata era ‘pane e pomodoro’, reso più gustoso da un filo d’olio e un pizzico di sale. Oggi viene servito quasi esclusivamente in particolari occasioni legate al ricordo dei sapori antichi, sostituito dal goloso pane e cioccolata.

Lo chef Giuseppe Tinari di Villa Maiella di Guardiagrele ha reinterpretato il pomodoro facendolo diventare un dolce: "pomodoro candito, latte alla vaniglia e olio al basilico".

"Una grave perdita – secondo Gino Primavera - è invece stata l’abbandono della tradizione della ‘cunzèrve’, concentrato di pomodori e peperoni rossi che si faceva essiccare lentamente al sole entro recipienti di legno, le “canalette”, fino ad assumere una consistenza densa e un gusto pronunciato. Un cucchiaio di cunzèrve tingeva di rosso anche il più esangue e povero dei sughi e col suo sapore grasso e acidulo costituiva uno dei trucchi della cucina povera che servivano per rendere i cibi più forti di sapore".

Nel suo libro più recente “Tutto Fiorisce a Primavera”, l’esperto fa un vero e proprio elogio del pomodoro:

Lode ai pomodori

A marzo i pomodori arzilli già zampettano, zip-zap

impazienti dentro i semini salvati in autunno.

Per magia cinetica fremono e si riproducono uguali

a sé stessi, vibrano danzando nell’eterno rinnovo

e io ballo con loro.

 

Nell’anima tremula del semino

si nasconde il semino del tempo che muta,

diventa verde e poi rosso per destino segnato.

Si racconta che i colori che cambiano

sono come il segreto di Pulcinella.

 

E poi nascono le piantine, le metto a dimora

inzaccherate di terra bagnata, le circondo

di letami pregiati; si ergono assurgenti verso

l’azzurro del cielo, con i primi fiorellini gialli

che ambiscono a diventare rosse bacche.

 

Si arrogano la libertà di una crescita veloce,

si inerpicano indeterminati su lunghi sostegni,

piegano le foglie ai dardi del sole cocente

per proteggere e dare riparo ai preziosi frutti

come nell’incavo di una fresca tana nei boschi.

 

La prima volta di un sugo al pomodoro

La prima volta che compare il sugo al pomodoro, nel 1692, è nell’immortale opera di Antonio Latini, scalco, cioè soprintendente alle cucine di varie Corti tra cui quella di Napoli: Lo scalco alla moderna, un trattato che è considerato il più importante dell’intera letteratura gastronomica dell’epoca. 

Numerose le ricette presentate, tra cui quella della “salsa di pomodoro alla spagnuola”, preparata con cipolla, timo, ‘peparolo’, sale, olio e aceto. Non è solo la prima ricetta pubblicata di una preparazione a base di pomodoro, ma quella di un sugo che, “con qualche aggiustamento” – scrivono Alberto Capatti e Massimo Montanari – “sarà destinato a grande avvenire nella cucina italiana e nell’industria conserviera”. Vediamola nello specifico:

Piglierai una mezza dozzina di pomadore, che sieno mature; le porrai sopra le brage, a brustolare, e dopò che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il coltello, e v’aggiungerai cipolle tritate minute, a discrezione, peparolo [peperoncino] pure tritato minuto, serpollo in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accommoderai con un po’ di sale, oglio, & aceto, che sarà una salsa molto gustosa, per bollito, ò per altro”.

Nel secondo volume del suo trattato, Latini sostituisce le spezie orientali con i profumi dell’orto: abbiamo qui, in quel secolo, il primo tentativo di sostituire a cannella, garofano, noce moscata e pepe i profumati odori degli orti mediterranei prezzemolo, basilico, maggiorana, mentuccia, peperone e zafferano.

Simbolo di una convivialità opulenta e fastosa, esaltata e amplificata dagli schemi culturali spagnoli che Napoli si è affrettata ad assimilare.

Scheda tecnica

La pianta del pomodoro viene dall’America latina, probabilmente è originaria del Perù, e fu introdotta in Europa dal Messico durante la dominazione spagnola nel Sedicesimo secolo… la spedizione garibaldina dei Mille ne diffuse l’uso in Italia, ma la sua definitiva consacrazione quale alimento principe delle nostre mense la si deve al grande gastronomo Pellegrino Artusi.

Il nome pomodoro è dovuto probabilmente al colore giallo che caratterizzava le bacche delle piante originarie e tuttora ne esistono alcune varietà a frutto giallo.

Il pomodoro è una pianta estiva, solare, che esprime le migliori qualità organolettiche con il caldo; i frutti possono essere consumati crudi, cotti, caldi, freddi, secchi, in vari tipi di conserve e in una grandissima quantità di piatti.

Nella coltivazione distinguiamo vari tipi di pomodoro: piante determinate (hanno un accrescimento ridotto) e indeterminate (crescono durante tutto il ciclo vegetativo e hanno bisogno di sostegno e potatura verde); pomodori per il consumo diretto, per la raccolta di frutti maturi e per l’industria di trasformazione; varietà a frutto giallo, a forma di ciliegia e allungata; varietà precoci, semiprecoci e tardive.

Dal punto di vista nutrizionale i pomodori sono alimenti dal basso valore calorico, con un alto contenuto in vitamine e Sali minerali, tra cui si evidenziano la A e C, il potassio e importanti sostanze antiossidanti come il licopène.

(Notizie sulla Scheda tratte da: La cucina della Maiella. Storie e ricette, Lucio Biancatelli e Gino Primavera, TARKA Edizioni, 2014) 

(NDR: in più, il pomodoro contiene acido ascorbico che può favorire l'ambiente acido dell'intestino).

La foto di copertina è di Tiziana Francavilla.

 

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