Nell'Abruzzo, regione che ancora sa conservare rituali collettivi legati all'ambiente, alle stagioni, agli animali, nel mese di gennaio, un po' ovunque si celebrano riti in onore di Sant'Antonio abate, un vero e proprio culto. Sant’Antonio abate, monaco asceta vissuto in Egitto nel IV secolo, ha trascorso gran parte della sua vita come eremita nel deserto della Tebaide ed è considerato uno dei padri del monachesimo.

Tra le feste più rinomate della regione c'è quella delle Farchie che si tiene a Fara Filiorum Petri (CH), considerata la festa del coraggio e del valore. 

Di seguito, alcune testimonianze su questo rito profondamente sentito dagli abruzzesi.

Corporazione Sancti Martini

Nel calendario dei Santi della Chiesa Cattolica il 17 gennaio è dedicato a Sant'Antonio abate. La data è legata a quella della morte del Santo, nato nel III secolo d.C. in Egitto. Sant'Antonio è considerato il fondatore del monachesimo cristiano e la sua venerazione è molto diffusa. Da sempre considerato patrono degli animali domestici, per questo motivo è stato sempre molto amato nelle comunità la cui economia era incentrata sull'agricoltura e l'allevamento.

A San Martino sulla Marrucina il culto del Santo è molto antico, introdotto con grande probabilità dai benedettini locali, sia per il suo legame con il monachesimo sia per l'importanza che l'allevamento ha avuto per secoli nella cittadina martinese (dove, ancora negli anni '30 del XX secolo, il numero di bovini era superiore a quello degli abitanti). L'importanza dell'eremita egiziano è dimostrata dall'edificazione di una chiesa a lui dedicata, censita per la prima volta nel 1324: l'edificio si trovava nei pressi della Costa della Fonte, la strada che anticamente collegava l'odierna Marrucina con l'accesso nord del castello e borgo fortificato di San Martino. A causa dei terremoti, tuttavia, nel XVIII secolo l'edificio viene danneggiato e dichiarato inagibile, diventando alla fine un rudere. Nel 1826 i suoi materiali vengono riutilizzati per edificare l'odierna chiesa della Madonna del colle. La grande venerazione per il Santo non si esaurisce però con la scomparsa della chiesa a lui intitolata, ma porta alla costruzione nella seconda metà del XIX secolo di un nuovo edificio sacro, costruito con le offerte degli abitanti delle contrade campestri della zona e collocato proprio all'innesto tra Costa della Fonte e la Marrucina: si tratta della chiesetta di "Sant'Antoniuccio", così chiamata in ricordo della più grande e non lontana chiesa originaria dedicata al Santo. L'edificio oggi non è più esistente, demolito dopo aver subito dei crolli.

A San Martino forte è la tradizione del fuoco legata al Santo: i carboncini del fuoco benedetto venivano usati per "marcare" gli animali domestici e le stalle. Non risulta la tradizione del "Focaraccio", piuttosto diffusa invece in Abruzzo per il culto di Sant'Antonio, mentre è caratteristica (così come per i vicini comuni di Fara Filiorum Petri, Casacanditella e Pretoro) la creazione delle farchie, citate già nel 1892 dall'abate curato Giuseppe Di Paolo: ogni contrada preparava la sua farchia e tutte venivano riunite nella spianata oggi occupata dal parco pubblico "La Maielletta" (di fronte alla chiesa abbaziale di San Martino): prima dell'accensione il parroco locale provvedeva alla benedizione - arrivando in processione della parrocchiale - e poi lasciava i cittadini ai festeggiamenti in onore del Santo.

Per quanto riguarda l'iconografia del Santo, una sua immagine è presente sulle volte della parrocchiale, mentre la statua attualmente venerata risale al XIX secolo.

IL SANT'ANTONIO ABATE DI PATERNO A CARAMANICO TERME (PE)

Sant'Antonio
 Antonio Mezzanotte

Sul primo pilastro a sinistra della navata centrale della chiesa di San Tommaso Becket, ovvero di Paterno, a Caramanico Terme (PE) è presente un affresco della seconda metà del 1200 raffigurante Sant'Antonio Abate, il gran santo del mondo rurale abruzzese che si festeggia oggi, 17 gennaio.

L'immagine, di autore ignoto, risente molto l'usura del tempo, ma si riescono a scorgere ancora alcuni elementi tipici quali il saio da eremita, il mantello con cappuccio, il bastone con la campanella, il libro e, in basso, l'immancabile porcello. Anche nella chiesa di San Nicola a Rosciano (PE) troviamo un affresco con i medesimi elementi iconografici (sebbene più recente di un paio di secoli e, pertanto, "aggiornati" al gusto rinascimentale), ma di questo Sant'Antonio Abate caramanichese mi piace soprattutto il volto con la barba bianca ben curata, simbolo di saggezza ma anche di autorità legata al suo ruolo di padre del monachesimo.

Il ruolo storicamente attribuitogli di primo eremita e guida spirituale di una famiglia di monaci è il motivo per il quale il Santo veniva spesso raffigurato nelle chiese rurali, soprattutto di montagna, e, a mio avviso, la presenza di questo affresco riporta concretezza di vita reale alla chiesa di Paterno, superando tutte le teorie su presunti profili magici ed esoterici dell'apparato decorativo e architettonico di questo nondimeno straordinario edificio di culto.

È il mio Santo protettore, quello al quale sono particolarmente devoto. Buon onomastico a chi ne porta il nome e viva sempre Sand'Andonie, lu nemiche de lu demonie!

 

Il ritorno del fuoco... Sant'Antonio Abate - Roccamontepiano 2023

Adamo Carulli

Abbiamo bisogno del fuoco per scaldarci, per illuminare e per trovare il contatto con la nostra intima spiritualità.

È nel profondo di noi stessi che ritroviamo le radici della nostra identità.

I fuochi sono sempre stati un sacro mistero per il genere umano e attorno ad essi le civiltà hanno costruito miti e leggende poiché essi in natura donano calore e luce.

La vita prende avvio dai quattro elementi e quindi terra, aria, acqua e fuoco sono poteri attribuiti a divinità e ciascuno di essi, dalla notte dei tempi, sono fondamentali.

Nessuno di essi può fare a meno dell'altro.

I fuochi che voglio descrivere sono quelli dedicati a Sant'Antonio Abate.

Qui in Abruzzo e ai piedi della Majelletta, le genti delle valli tra il Fiume Foro e l'Alento, dopo due anni di interruzione a causa dell'epidemia, tornano a riaccendere falò e farchie che onorano il Santo Eremita della tradizione popolare.

Egli, dominando la natura umana come la fame, la sete, gli istinti e quindi i "peccati" del "demonio tentatore", riesce anche a rendere il fuoco l'utile strumento di rinascita e di vita.

Ma il fuoco brucia e devasta anche il corpo quando è attaccato dall'Herpes Zosters (il cosidetto fuoco di Sant'Antonio).

Grazie alla sua intercessione si può uscire da questa terribile prova, completamente guariti.

Sant'Antonio protegge gli uomini, gli animali e le messi, necessari a sostenere la vita di chi coltiva la terra.

La vita dei campi, nel recente passato, accomunava la quasi totalità della popolazione e quindi chi se non Sant'Antonio Abate poteva intercedere per questa protezione!?

Quando ancora le feste del Natale non erano come quelle consumistiche che viviano oggi, era la festa di Sant'Antonio l'occasione per concedersi pranzi e cene con la carne, soprattutto quella derivata dall'uccisione del maiale.

Gennaio segnava anche la stagione fredda, tempo necessario per poter lavorare le carni fresche il cui grosso quantitativo veniva trasformato in salumi per poter durare nel tempo ed essere conservati meglio quando non esistevano i potenti frigoriferi.

Le farchie sono grandi ceri accesi che illuminano la terra e il cielo allontanano gli spiriti maligni della notte passato il solstizio d'inverno.

Nasceva così la tradizione del miracolo della Selva di Fara Filiorum Petri (Ch), quando nel 1799 Sant'Antonio apparve all'esercito francese, incendiano le grandi querce e deviando la loro avanzata risparmiando il paese.

Il fuoco di Fara diventa fiamma ardente di spiritualità unica.

Accendere le farchie insieme è un rituale significativo e coinvolgente che attira e affascina tantissime persone da tutto l'Abruzzo.

Forse esse esistevano ancora prima che i francesi avessero un ruolo da invasori sulle nostre terre. Fuochi atavici e propiziatori che però oggi tornano dopo il passaggio doloroso della pandemia.

Qui più che in altre competizioni scatta l'orgoglio vero, l’affetto, l'accoglienza che ogni contrada dimostra con genuina ospitalità.

Lo spettacolo è potente quando la statua del santo esce dalla chiesa e si volta verso i falò.

"Lu Sande è cundénde, l'ha apprezzate", sembrano esclamare i contradaioli dopo le fatiche del loro innalzamento a mano.

Tutto diventa un abbraccio, questa volta senza restrizioni, senza distanziamento né mascherine e forse adesso siamo liberi davvero da Covid, come dagli eserciti stranieri sulla nostra terra.

La forza vitale di questi giorni e di ieri ritorna come il fuoco mai spento sotto la cenere dei due anni trascorsi in attesa.

L'energia positiva ritorna e rafforza anche quella interiore di ciascuno, anche per affrontare le situazioni difficili che incontreremo di fronte a noi.

Serve il fuoco come ogni sana medicina. Avevamo bisogno di questo bagno di folla per invocare i santi come facevano i nostri avi quando non avevano altri modi.

E Sant'Antonio Abate con le sue farchie sono tornati a ricordarci che senza le nostre radici possiamo sopravvivere ma non di certo a vivere pienamente.

"Eh Sand Andònee!!!"

 

Un articolo di virtuquotidiane.it --> https://www.virtuquotidiane.it/cultura/santantonio-abate-come-e-cambiata-la-lavorazione-del-maiale-e-quanto-resta-della-tradizione-abruzzese-in-cucina.html?fbclid=IwAR0M_sLBgKXLmKN9vMQVmF7HfFSz2b_A9Z1Fw6piTZ8l3nDqpCYk_7XYsZI

FLAMMA ET LUMEN 

Anna Anconitano 

Ho trascorso e percorso tre giorni intensi, non riuscendo a descriverli li ho raccontati in questa pagina con l'aiuto delle immagini raccolte, poche rispetto a quelle che trattengo nel cuore e che cercherò di conservare, segrete, nella mia memoria. Tre giornate in cammino attraverso l'Abruzzo e i suoi paesaggi, scorci difficili da comprendere per la loro bellezza irregolare, imperfetta eppure magnifica e imponente. Come i suoni santantoniari dell'inverno che sta per manifestarsi. Tre giorni per arrivare, ieri sera, a Fara Filiorum Petri, rischiando più volte di andare a fuoco, bruciandomi qua e là e assaporando attimi di intensa felicità, un miscuglio terapeutico di calore, stupore ed euforia.

Sulle Farchie è stato autorevolmente detto tutto e non potrei aggiungere nulla, nemmeno dopo gli anni di presenza e osservazione discreta. Ma ieri sera, sarà stato per il lungo periodo trascorso a fare i conti face-to-face con la fragilità della nostra esistenza, con il respiro della perdita udibile dietro la porta di ogni singolo giorno, pareva normale e piuttosto semplice trovare il coraggio di camminare coscientemente in mezzo alle fiamme. Essere davvero parte della catarsi collettiva in atto, ascoltarne i canti, sempre gli stessi eppure sempre diversi, da cerchio a cerchio, ognuno con una tenerezza, o una potenza diversa, come diversi sono timbri delle voci "ineducate" e per questo incantatrici, maschili e femminili, e cosa rara, di ogni età.

Il fuoco ovunque. Come l'esperienza reale e ineluttabile della contiguità con l'inferno, quello che vive con e dentro di noi, su questa stessa terra, ma che non può incutere paura. Senza sfidarlo, possiamo affrontarlo con un canto, che quando prorompe dal cuore, diventa così potente da sconfiggere ogni angustia, ogni sciagura. Un fuoco benefico, illuminante, favorisce l'apparizione di centinaia di giovani depositari di una tradizione che benedice chiunque ne sia partecipe. Ricchezza infinita. A questi giovani portentosi, che ieri sera si muovevano come piccole divinità avvolte da un'aura sonora, benefica e protettiva, a loro va il mio pensiero. Per loro ho trovato queste parole, che spero risuonino riconoscenti, così come le sento.

Tre nomi per tutti: Simone, Alessio, Fabrizio. Grazie per le vostre suonate, per la tenerezza che portate negli occhi, per l'energia e la forza che donate alla festa. A ogni persona che la attraversa, tornando alla propria natura, umana, fragile e portentosa al tempo stesso.

Il Sant'Antonio che onorate, cantate e suonate, ripete il suo miracolo, tra la gente delle contrade faresi, anche attraverso il suono del vostro canto e dell'organetto incantatore.

Che cosa posso restituire il giorno dopo aver ricevuto un dono così grande? L'odore sacro del fuoco tra i capelli e tra le mani, il coraggio di una piccola danza che muove l'animo ogni volta e, cosa più preziosa e alta, i vostri volti senza tempo.

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