Abbiamo bisogno del fuoco per scaldarci, per illuminare e per trovare il contatto con la nostra intima spiritualità.
È nel profondo di noi stessi che ritroviamo le radici della nostra identità.
I fuochi sono sempre stati un sacro mistero per il genere umano e attorno ad essi le civiltà hanno costruito miti e leggende poiché essi in natura donano calore e luce.
La vita prende avvio dai quattro elementi e quindi terra, aria, acqua e fuoco sono poteri attribuiti a divinità e ciascuno di essi, dalla notte dei tempi, sono fondamentali.
Nessuno di essi può fare a meno dell'altro.
I fuochi che voglio descrivere sono quelli dedicati a Sant'Antonio Abate.
Qui in Abruzzo e ai piedi della Majelletta, le genti delle valli tra il Fiume Foro e l'Alento, dopo due anni di interruzione a causa dell'epidemia, tornano a riaccendere falò e farchie che onorano il Santo Eremita della tradizione popolare.
Egli, dominando la natura umana come la fame, la sete, gli istinti e quindi i "peccati" del "demonio tentatore", riesce anche a rendere il fuoco l'utile strumento di rinascita e di vita.
Ma il fuoco brucia e devasta anche il corpo quando è attaccato dall'Herpes Zosters (il cosidetto fuoco di Sant'Antonio).
Grazie alla sua intercessione si può uscire da questa terribile prova, completamente guariti.
Sant'Antonio protegge gli uomini, gli animali e le messi, necessari a sostenere la vita di chi coltiva la terra.
La vita dei campi, nel recente passato, accomunava la quasi totalità della popolazione e quindi chi se non Sant'Antonio Abate poteva intercedere per questa protezione!?
Quando ancora le feste del Natale non erano come quelle consumistiche che viviano oggi, era la festa di Sant'Antonio l'occasione per concedersi pranzi e cene con la carne, soprattutto quella derivata dall'uccisione del maiale.
Gennaio segnava anche la stagione fredda, tempo necessario per poter lavorare le carni fresche il cui grosso quantitativo veniva trasformato in salumi per poter durare nel tempo ed essere conservati meglio quando non esistevano i potenti frigoriferi.
Le farchie sono grandi ceri accesi che illuminano la terra e il cielo allontanano gli spiriti maligni della notte passato il solstizio d'inverno.
Nasceva così la tradizione del miracolo della Selva di Fara Filiorum Petri (Ch), quando nel 1799 Sant'Antonio apparve all'esercito francese, incendiano le grandi querce e deviando la loro avanzata risparmiando il paese.
Il fuoco di Fara diventa fiamma ardente di spiritualità unica.
Accendere le farchie insieme è un rituale significativo e coinvolgente che attira e affascina tantissime persone da tutto l'Abruzzo.
Forse esse esistevano ancora prima che i francesi avessero un ruolo da invasori sulle nostre terre. Fuochi atavici e propiziatori che però oggi tornano dopo il passaggio doloroso della pandemia.
Qui più che in altre competizioni scatta l'orgoglio vero, l’affetto, l'accoglienza che ogni contrada dimostra con genuina ospitalità.
Lo spettacolo è potente quando la statua del santo esce dalla chiesa e si volta verso i falò.
"Lu Sande è cundénde, l'ha apprezzate", sembrano esclamare i contradaioli dopo le fatiche del loro innalzamento a mano.
Tutto diventa un abbraccio, questa volta senza restrizioni, senza distanziamento né mascherine e forse adesso siamo liberi davvero da Covid, come dagli eserciti stranieri sulla nostra terra.
La forza vitale di questi giorni e di ieri ritorna come il fuoco mai spento sotto la cenere dei due anni trascorsi in attesa.
L'energia positiva ritorna e rafforza anche quella interiore di ciascuno, anche per affrontare le situazioni difficili che incontreremo di fronte a noi.
Serve il fuoco come ogni sana medicina. Avevamo bisogno di questo bagno di folla per invocare i santi come facevano i nostri avi quando non avevano altri modi.
E Sant'Antonio Abate con le sue farchie sono tornati a ricordarci che senza le nostre radici possiamo sopravvivere ma non di certo a vivere pienamente.
"Eh Sand Andònee!!!"
Un articolo di virtuquotidiane.it --> https://www.virtuquotidiane.it/cultura/santantonio-abate-come-e-cambiata-la-lavorazione-del-maiale-e-quanto-resta-della-tradizione-abruzzese-in-cucina.html?fbclid=IwAR0M_sLBgKXLmKN9vMQVmF7HfFSz2b_A9Z1Fw6piTZ8l3nDqpCYk_7XYsZI