di: Anna Crisante

Nasce Il Cammino dei Santi Italogreci

Presentate le otto tappe in 110 chilometri

Guardiagrele

È il frutto di un lavoro che dura da vent’anni, tra Convegni di studio, celebrazioni e manifestazioni. Il Cammino dei Santi Italogreci è arrivato alle sue battute finali ed è stato presentato in anteprima a Guardiagrele da Antonio Altorio, presidente della Fondazione San Nicola Greco, e Lucio Taraborrelli, scrittore, socio della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, fondatore e presidente dell’Archeoclub di Guardiagrele, curatore della Guida del Cammino della Pace.

La presentazione è stata preparata in occasione delle celebrazioni per il 681° anniversario della traslazione delle reliquie del monaco basiliano Nicola Greco, da Prata (località Torretta di Casoli) a Guardiagrele, che ricorre il 9 agosto. L’incontro si è tenuto nel chiostro di San Francesco D’Assisi, che è anche il santuario di San Nicola Greco, alla presenza del sindaco di Guardiagrele Donatello Di Prinzio..

L’idea del progetto “Il Cammino dei Santi Italogreci” è della stessa Fondazione che lo ha organizzato in collaborazione con “Il Cammino della Pace”. Un sentiero dello spirito sulle tracce di San Nicola Greco e dei suoi compagni, che vuole essere anche un’opportunità per valorizzare il territorio e il patrimonio di fede, arte, storia e cultura, attraverso l’incontro tra camminatori e tra questi e la gente del posto, e lo scambio di esperienze. Un percorso che incrocia vallate, colline, pianori, rocce, calanchi, fiumi, paesi, tradizioni, artigianato, siti archeologici, tratturi, monumenti, eremi, chiese, musei, prodotti, cucina tipica.

“Un percorso di quasi 110 km in otto tappe, che collega Palena a Francavilla al Mare – spiega Taraborrelli -, un percorso bellissimo, già interamente georeferenziato, che tocca i luoghi dello spirito, legati alla presenza dei monaci di rito greco giunti dalla Calabria alla fine del X secolo. C'è ancora del lavoro da fare, ma chi ama camminare e gioire delle bellezze di questa terra, può cominciare a preparare le scarpe da trekking! Mancano solo la segnaletica e il sito Internet. Il Cammino dei Santi Italogreci è un cammino basiliano, incentrato su sette figure tramandatici dalla tradizione orale non verificabile attraverso fonti oggettive. La storia nasce quando un gruppo di monaci di rito greco stanziati in un monastero della Calabria, nel X secolo risalirono la penisola e si diressero verso Casoli. Sette monaci tra cui Ilarione, Nicola Greco (santo compatrono di Guardiagrele), Franco, Falco, e Rinaldo”.

Una volta arrivati a Casoli, alla fine del X e l’inizio dell’XI secolo, i monaci fondarono il monastero nel castro di Prata, dipendente da San Liberatore a Maiella. Successivamente si dispersero intorno al fiume Aventino. “I monaci basiliani – dice ancora Taraborrelli - erano molto legati alla gente del territorio, sono diventati santi a furor di popolo. L’abate Nicola Greco, dopo Ilarione, ha una tradizione antica. San Falco si è diretto verso le sorgenti dell’Aventino in un eremo di Palena, San Rinaldo sulla sponda destra, vicino a Juvanum, San Franco si diresse verso il mare scendendo dall’Aventino. Fu sepolto in una chiesetta e poi traslato a Francavilla, in Santa Maria Maggiore”.

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Il Cammino in otto tappe

Lo scopo del cammino è riscoprire un territorio, anche da un punto di vista paesaggistico, in otto tappe: 1. Palena (Juvanum, paese di Colledimacine) – Torricella Peligna; 2. Torricella Peligna (frazione di Fallascoso con eremo di San Rinaldo suo patrono e Lama dei Peligni) – Gessopalena; 3. Gessopalena – Casoli (passando per il lago Sant’Angelo); 4. Casoli - Fara San Martino (monastero Fara San Martino); 5. Civitella Messer Raimondo (grotta Sant’Angelo ed eremo, Palombaro) - Pennapiedimonte; 6. Pennapiedimonte (Balzolo) - Guardiagrele (sacrario Bafile di Bocca Di Valle, santuario San Nicola Greco, Santa Maria Maggiore), 7 Guardiagrele - San Vincenzo di Vacri (passando per Fara Filiorum Petri e Bucchianico); 8. Vacri – Francavilla al Mare (chiesa di Santa Maria Maggiore dedicata a San Franco).

I monaci basiliani arrivano in Italia

Il monachesimo orientale arrivò in Italia attraverso tre ondate migratorie insediandosi nel meridione d'Italia. Il primo fenomeno si ebbe intorno al settimo secolo con l'espansione musulmana e le successive persecuzioni persiane, soprattutto islamiche, le quali costrinsero all'emigrazione molti monaci greci che svilupparono il monachesimo orientale in Sicilia e nell’Italia meridionale.

Nell'anno 726 l'Imperatore romano d'Oriente Leone III Isaurico (717-740), capo anche della Chiesa Orientale, emanò un editto secondo il quale dovevano essere distrutte tutte le immagini sacre, costringendo i monaci basiliani che non vollero accettare questa drastica imposizione, al martirio oppure alla fuga nell'impero dell'occidente. Secondo l'insegnamento di S. Basilio, infatti, l'immagine, al di là dell'iconolatria, rappresenta uno strumento di evangelizzazione che poteva facilmente comunicare alle masse dei fedeli la parola di Dio.

Gli stessi basiliani costituirono, nei luoghi in cui ricevettero accoglienza, comunità improntate alla diffusione della fede, della carità e dell'amore verso il prossimo, impegnandosi fortemente nel lavoro, tra cui l'agricoltura. I monaci con l’esempio della parola insegnarono a lavorare la terra alla gente del luogo e a trarne il massimo prodotto. Curarono il prosciugamento delle paludi e destinarono le terre incolte alla coltura dell'olivo, della vite e del grano, agevolando la piccola proprietà contadina.

I monaci basiliani si insediarono successivamente in Calabria, nel Monastero di S. Martino di Canale, una frazione del Comune di Pietrafitta (Cosenza) e nel Monastero di Santa Maria di Pèsaca in Taverna (Catanzaro) fondato da loro stessi nel 970. Nell'anno 977 queste comunità di monaci furono costrette ad abbandonare il Monastero di S. Martino di Canale per sottrarsi alle invasioni dei saraceni e ventinove confratelli, fra i quali Nicola Greco e il loro archimandrita Ilarione,  insieme  ad  altri compagni  del monastero  di Santa Maria di Pèsaca, fra i quali San Falco, dopo un lungo peregrinare  dalle terre calabre, scelsero di rifugiarsi alle pendici orientali della Maiella, lungo la valle dell'Aventino, in provincia di Chieti, nel Castellum de Prata, presso Casoli, e rifondare un nuovo monastero su un terreno acquistato dal conte di Chieti Trasmondo I che offrì alla comunità di monaci italo-greci appena arrivata l'opportunità di stabilirsi nel feudo di Prata.

Infatti tra il IX e il X secolo, i monaci basiliani risalirono verso le terre longobarde, prima nel ducato di Salerno e poi nel Sannio, nel ducato longobardo di Benevento, mediante quelle strade romane e tratturi secolari che, nel processo di evangelizzazione, furono allo stesso tempo vie di comunicazione, di scambio materiale e veicolo di movimenti ideali e spirituali.

Successivamente all’arrivo a Casoli, alla fine del X e l’inizio dell’XI secolo, dove i monaci fondarono il monastero nel castro di Prata, dipendente da San Liberatore a Maiella, si dispersero intorno al fiume Aventino. “I monaci basiliani – dice ancora Taraborrelli - erano molto legati alla gente del territorio, sono diventati santi a furor di popolo. L’abate Nicola Greco, dopo Ilarione, ha una tradizione antica, San Falco si è diretto verso le sorgenti dell’Aventino in un eremo di Palena, San Rinaldo sulla sponda destra, vicino a Juvanum. San Franco si diresse verso il mare scendendo dall’Aventino, fu sepolto in una chiesetta e poi traslato a Francavilla, in Santa Maria Maggiore”.

La prima comunità che si era insediata nel feudo di Prata, diffondendosi ed evangelizzando buona parte dell’Abruzzo, nel tempo cresceva con beneficio dei contadini delle nostre zone: Casoli, Gessopalena, Civitella Messer Raimondi, Torricella, Lama dei Peligni. Dopo la scomparsa avvenuta in Prata dell'archimandrita Sant'Ilarione, la comunità di monaci basiliani visse per un periodo di tempo rinunciando volutamente, nello spirito comunitario e fraterno che li legava, alla nomina di un nuovo "Padre". Si narra poi i monaci, ispirati dallo Spirito Santo, misero ognuno la propria tazza di legno nella riva del fiume Aventino e colui al cui desco fosse entrato un pesciolino, sarebbe divenuto il nuovo archimandrita. Ciò capitò al beato Nicola Greco.
Quei monaci non perdevano occasione di avere contatti con le nostre genti, sia in occasione di feste religiose con prediche, tridui, novene, sante Messe, sia con il giro tra i fedeli portando a tutti una parola di fede, di speranza e di amore secondo lo spirito del Vangelo. Ma non si limitavano solo alla cura delle anime, spesso mettevano a disposizione dei contadini anche la loro conoscenza in campo medico ed erboristico, curando loro e gli animali, in una visione perfettamente integrale di anima e corpo. Intorno all'anno Mille, maturi di anni e di esperienze, cambiarono le loro esistenze diventando eremiti e disseminandosi in tutta la regione. 

I loro eremi erano grotte naturali di cui la nostra Maiella abbonda e così continuarono la loro esistenza terrena dialogando con Dio senza trascurare i rari incontri con i compagni che attratti dalla fama della loro santità li cercavano raggiungendoli nelle grotte. Ebbe così origine quel particolare fenomeno denominato "Movimento Eremitico Abruzzese" legato alla Maiella e alle valli limitrofe, che sarà poi reso celebre dalla presenza di Pietro da Morrone e dei suoi seguaci.

Notizie da:

http://www.casoli.info/casoli/prata/index.htm

http://www.casoli.info/casoli/prata/prata02.htm#San%20Nicola%20Greco

Una sintesi

Dei monaci guidati da Ilarione, la maggior parte si fermò in Molise. Ma l’archimandrita con sette discepoli si spinse oltre: tra strade romane e tratturi, intorno all’anno Mille, trovarono finalmente pace, stabilendosi nei pressi di Casoli, nel Castellum de Prata, feudo del conte chietino Trasmondo I e antico possedimento dell’Abbazia di Montecassino. Probabilmente ebbero contatti anche con i monaci di S. Martino in Valle.

Siamo sul versante orientale della Maiella, la montagna madre, i cui scenari, ancora oggi, non hanno pari con nessun’altra delle aree interne abruzzesi: un Olimpo per i pagani, un Eden per i cristiani, luoghi mistici e immersi nel silenzio. Qui edificarono un nuovo monastero e, come in Calabria, continuarono a dedicarsi all’ascetismo, alla preghiera e allo studio della teologia, ma anche alla botanica e alla medicina, dato che sul versante orientale della Maiella crescono spontaneamente numerose erbe officinali.

I monaci greci seguivano e seguono tutt’ora la regola di San Basilio.  Chi vuole essere veramente monaco, deve aspirare alla solitudine e non essere turbato dal rapporto con altri uomini. È una vita veramente unificata, perché tutta rivolta ad un unico scopo: il raggiungimento dell’unione con Dio. La ricerca di luoghi silenziosi e immersi nella solitudine diventa allora una condizione indispensabile, perché facilita il rapporto intimo e familiare con Dio.

Dopo alcuni anni dalla fondazione del monastero di Prata, Ilarione morì. Il suo corpo si troverebbe ancora in Prata, ma finora non è stato trovato. A lui successe S. Nicola Greco, che continuò, da buon discepolo, a vivere in spirito di austerità. La sua fama di santità fu tale che le sue reliquie vennero portate con grande venerazione a Guardiagrele e nel 2012 la sua urna fu ricevuta e benedetta in Vaticano da Papa Benedetto XVI.

I monaci si sparsero poi in varie località dell’Abruzzo, vivendo da eremiti e contribuendo all’evangelizzazione delle popolazioni vicine. S. Franco raggiunse le coste adriatiche e si fermò nei pressi dell’attuale Francavilla al Mare; fino a Ortucchio presso il lago Fucino, in provincia di L’Aquila, si era spinto S. Orante, che qui trovò la morte, probabilmente diretto a Roma con un gruppo di monaci per recarsi a venerare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Poi S. Falco, protettore di Palena, dove si era ritirato come eremita. Il 19 agosto del 2001 una delegazione della città calabrese di Taverna ha celebrato il gemellaggio proprio con Palena, nel solco della memoria di San Falco. S. Giovanni Eremita si ritirò a Rosello e S. Rinaldo, visse presso l’eremo di Fallascoso, oggi una frazione di Torricella Peligna, in una grotta collocata sotto un’alta rupe.

Cosa resta oggi di questa meravigliosa esperienza? I resti del monastero potrebbero trovarsi sotto la Torretta, costruita intorno all’XI secolo su un precedente avamposto longobardo. Oggi la torre è tuttora accessibile e domina il borgo di Casoli e la valle dell’Aventino. Ma è tutto ancora da scoprire. A Prata, sulla Maiella, ebbe origine quel movimento eremitico abruzzese, che sarà poi reso celebre dalla presenza di Pietro da Morrone e dei suoi seguaci.

Da: https://www.laquilablog.it/il-borgo-di-casoli-e-la-storia-dei-monaci-rifugiati-dalla-calabria/

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