di: Anna Crisante

Le sise delle monache

le madeleine proustiane d’Abruzzo

Guardiagrele

“Scusi mi dà una sisa?” E se poi non trattiene la risata è un turista forestiero, imbarazzato nel richiedere una morbida e rotonda brioche che evoca sensazioni infantili ed erotiche allo stesso tempo. Magari a Guardiagrele c’è andato apposta, per assaggiare una specialità tutta del posto, impaziente di vederne la forma e gustarne il sapore. 

Guardiagrele è il paese delle “sise delle monache” e anche per noi abruzzesi diventa una meta, soprattutto la domenica, quando dalle zone limitrofe si va in pellegrinaggio nelle due storiche pasticcerie di via Roma, Palmerio (dal 1884) ed Emo Lullo (dal 1889), a prendere il dolce della festa, per rallentare i frenetici ritmi quotidiani e farsi inondare dal piacere dei sensi e da una gioia calda e piena. Il guardiese, poi, quando deve fare bella figura offre la sisa.

Si può trovare, addirittura, un vero e proprio Vademecum su come degustare le sise, scritto da Mario Palmerio che ne fa anche l’elogio: “Le sise delle monache sono un dolce visivo, un godimento degli occhi che ne esplorano le curve, le punte aguzze, il candore dello zucchero a velo. C’è chi separa le sise e ne prende una per volta, inghiottendola in un sol boccone. Questa soluzione è, di norma, adottata dai frettolosi o dagli ingordi che non gustano o gustano in modo limitato, oppure dalle donne alle quali questa brioche arreca più di un imbarazzo. Separando le sise l’una dall’altra, è distrutto il simbolo, spezzato l’incantesimo; siamo di fronte ad un prodotto alimentare soltanto. In più si evita di spargersi addosso lo zucchero a velo, di avere le labbra e le dita appiccicose. I veri, eleganti amanti delle sise delle monache le affrontano in modo infantile e si imbiancano, nell’operazione, naso, labbra e mento, cospargendosi di quel dolce candore anche il petto. Per gustare le sise delle monache è necessario proprio ritornare bambini”… e avere tempo". Per questo ricordano le madeleine di Proust.

Le brioche non vengono esportate e vanno assaporate in tutta la loro freschezza, appena confezionate: “non ammettono trasporto, refrigerazione, né il metterle da parte per il giorno dopo: sono deperibili, perdono elasticità, aroma, candore; “avvizziscono”.

Emo Lullo

Emo Lullo, che ha ereditato la pasticceria dal nonno, lo ribadisce: “vanno assaggiate sul luogo, qui si respira l’aria della nostra montagna, si scopre l’artigianato, questo ambiente conferisce alle sise un altro sapore”.

Ad essere semplici, sono semplici, piccole tortine di Pan di Spagna ripiene di crema pasticcera. “Nessun segreto” assicura: uova, zucchero, farina 00, vaniglia, cannella, una minima riduzione di Rhum e Maraschino nella crema. “Tutto sta nel procedimento che richiede maestria ed esperienza”, quelle che Emo ha nel suo Dna, ma che ha dovuto pazientemente recuperare. Si era infatti laureato in Filosofia all’Università D’Annunzio e si è trovato davanti a un bivio: “voglio rimanere quello che siamo o voglio trasformarmi in altro? No, voglio rimanere quello che siamo. E noi siamo romantici, teniamo alla nostra storia, siamo il posto in cui viviamo, la montagna, che è la nostra madre. Oggi il cliente vuole il racconto, capire quello che sta mangiando. Io vendo una storia, chi viene da me fa un viaggio nel gusto, assapora una crema che è come quella della nonna, torna all’infanzia. Chi è giovane invece scopre la differenza della qualità della materia prima”.

"Negli ultimi anni - dice ancora Emo - si è accesa una luce diversa su noi artigiani, grazie a una maggiore consapevolezza di chi acquista. Abbiamo attraversato momenti difficili per l’impari concorrenza del prodotto industriale. Oggi molta parte della mia clientela viene da fuori, pur operando io in una realtà atipica, infatti faccio solo due prodotti, le sise e il torrone scuro (mandorle, zucchero, arancia candita e vaniglia), che però riesco ad esportare e a far conoscere con punti vendita in altre regioni”.

 

La fortuna delle sise delle monache l’ha fatta l’ingegno degli avi di Emo, che appartenevano anch’essi alla famiglia Palmerio, un concentrato di creatività del genio guardiese che ha inventato un dolce a tre punte. Unico nella forma, ma non nel nome. Infatti ad Altamura, in provincia di Bari, è molto conosciuto un dolce chiamato “tette delle monache” che però ha una sola punta, e il Pan di Spagna è ripieno di crema chantilly. Un dolce che sta spopolando in tutta la Puglia. Ma allora l’Abruzzo può rivendicarne l’originalità? Di certo c’è che le sise delle monache hanno ottenuto vari e importanti riconoscimenti: l’iscrizione nell’elenco dei prodotti tipici di qualità redatto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, l’inclusione nell’Atlante dei prodotti tipici del Parco Nazionale della Majella e la chiocciolina di Slow Food che premia i prodotti di qualità eccellente. Il problema è che per il resto si viaggia ancora sul terreno delle probabilità e delle ipotesi, anche se un valido contributo alla ricerca è stato dato da Mario Palmerio che cita la prima denominazione della brioche secondo un articolo apparso sul Messaggero nel 1982, cioè “tre monti”, forma ispirata dalle tre cime della Maiella: Murelle, Martellese e Acquaviva. Che, secondo lui, sono diventate "sise" dopo un’espressione colorita di Modesto della Porta. Lo scrittore cita poi un’altra tesi: “la monaca allo scopo di perdere la vistosità del proprio corpo, un tempo inseriva un involto di stoffa tra i due seni”. La terza tesi è che le sise siano state inventate dalle suore che ad un certo punto hanno iniziato a sfornare un pane dolce per le occasioni di rito. Palmerio ne ipotizza l’invenzione immediatamente prima la Prima Guerra Mondiale o immediatamente dopo, ma risulta strano che né D’Annunzio, né Modesto della Porta parlino mai di questo dolce. “La mia deduzione conclusiva – scrive Palmerio- è che le sise delle monache siano il punto d’approdo di un lungo processo che ha la base di partenza in un pane rituale in onore di Sant’Agata, pane che, già nelle mani delle Clarisse, si è gradualmente trasformato in un “pane dolce”. C’è voluta l’opera di un pasticcere, laico e maschio, capace di operare un “salto” dal piano simbolico-religioso a quello erotico attraverso la modificazione dell’impasto, dell’esecuzione del prodotto e della sua presentazione. L’invenzione del pasticcere è stata quella di utilizzare, in una configurazione di ridotte dimensioni lo schema della torta, accoppiando il Pan di Spagna e la crema. Di quale pasticcere è stata l’idea delle sise, di Giuseppe o Filippo, cugini? Probabilmente a Giuseppe Palmerio è venuta l’idea a Napoli dove ha svolto il suo apprendistato da pasticcere. Lì si confezionava una brioche chiamata Zizza d’a reggina, costituita da una sola coppa di Pan di Spagna glassata. Si può dunque ipotizzare una contaminazione tra sisa della regina e pane dolce prodotto dalle Clarisse”.

In attesa di avere maggiori informazioni, a quanti andranno a Guardiagrele a mangiare una sisa si consiglia di non dimenticare di ripulirsi dallo zucchero a velo con la spazzola con cui la brioche viene servita.

Curiosità:

Sai che questo dolce ha ispirato una coppia di giovani design? la Spilla 3 sise!

Lettura consigliata:

Mario Palmerio, Le Sise de Mòneche, Litografia Eurografica, 2002

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