di: Anna Crisante

La Processione delle Verginelle

Eredità degli antichi riti dei Marrucini

Rapino

A Rapino da circa duecento anni si celebra la Processione delle Verginelle, una singolare sfilata che vede protagonisti le bambine del paese, ma anche i bambini, e che coinvolge mamme e nonne impegnate nell’antico rito della vestizione con ornamenti di gioielli di famiglia dell’arte orafa abruzzese. Le verginelle sono bambine tra i sei e i tredici anni vestite con abiti ornati da ori e monili di valore, simbolo di abbondanza e richiamo di riti di propiziazione di derivazione pagana. Attualmente la Processione è aperta dai più piccoli, fanciulli e fanciulle anche di tre anni, detti “Angioletti”, seguiti dalle verginelle, vestite di bianco e rosa, ma anche celeste, e ornate d’oro. Subito dopo sfilano il gruppo dei “Pagetti” e, a chiudere il corteo, le "Figlie di Maria", ragazze vestite di bianco e azzurro che aprono la via alla statua della Madonna. Tutti una volta avevano capelli arricciati in segno di illibatezza, e nella processione sfilavano anche due buoi bianchi.

 Nella Processione che si ripete ogni 8 maggio, le verginelle di Rapino rendono omaggio alla Madonna di Carpineto, per ringraziarla del miracolo concesso al paese nel lontano 1794 quando, dopo lunghe preghiere a lei rivolte affinché intercedesse per porre fine ad una grave siccità che colpì le campagne di Rapino, improvvisamente iniziò a piovere. Da quell’anno la processione parte dal centro del paese per giungere più a valle nella cappella intitolata alla Madonna di Carpineto chiamata dai rapinesi “Madonna dell’Acqua”.

La leggenda

Altre storie popolari in Abruzzo raccontano di eventi atmosferici estremi, pregiudizievoli dei raccolti agricoli, seguiti da miracoli e da quel momento celebrati con il coinvolgimento di bambine come forma di devozione e ringraziamento, fino alla loro storicizzazione, come per esempio quella della “Processione dei pellegrini” della vicina Vacri.

Secondo la leggenda, secoli fa, quando le apparizioni celesti erano fatti frequenti, la Madonna apparve a un pastorello tra i rami di un albero di càrpino. La “Signora” così denominata lo invitò a chiamare un sacerdote, ma tornati sul posto trovarono una statua della Madonna che venne portata in paese, nella chiesa di San Lorenzo. Però, al mattino successivo, la statua fu ritrovata ancora nei pressi dell’albero di càrpino e così si decise di costruire in quel luogo una cappella dedicata alla Madonna di Carpineto. In suo onore, ogni otto di maggio a Rapino con la processione delle verginelle, viene ricordato quel ritorno della statua della Madonna dalla Chiesa di San Lorenzo fino al luogo dell’apparizione, ad alcuni chilometri fuori paese, dove sorge la cappella.

La Processione

Statua della Madonna in processione. Ph Pasquale De Antonis
Statua della Madonna in processione. Ph Pasquale De Antonis

Anche in questa festa tradizionale in cui si fondono sacro e profano, si evidenzia la genuinità e la semplicità della popolazione che la celebra.

Le bambine che impersonano le verginelle, svegliate all’alba per procedere alla lunga e meticolosa vestizione che diviene un rito per ciascuna famiglia in cui si trovano figli di giovane età, diventano il simbolo della famiglia cui appartengono. Per ripetere il rito della processione, tornano dall’estero anche le famiglie con figli originarie di Rapino.

E così, inconsapevolmente, viene soddisfatto il desiderio dei genitori di ostentare con orgoglio un minimo di agiatezza, sfoggiando monili e oggetti d’oro che adornano il collo e le braccia delle bambine.

Lo snodarsi di questa processione di verginelle, prima per le strade del paese e poi verso la chiesetta della Madonna, fra due ali di folla in cui gli adulti identificano nei bambini gli angeli evocati nelle loro preghiere, acquista il preciso significato di una ricerca collettiva del tempo perduto della propria infanzia, proiettata appunto sui bambini nei quali ognuno si rivede con la stessa intensa emozione vissuta in tempi lontani.

Tutto il paese è coinvolto nella processione, e proprio questo coinvolgimento collettivo favorisce la sopravvivenza di una manifestazione che ebbe origine come ringraziamento dell’intervento divino sui miserevoli fatti quotidiani. Ancora oggi essa riesce a comunicare emozione e pathos se ci si cala nell’animo del paese in cui si svolge. 

“L’8 maggio a Rapino! Se avete un taccuino in cui segnare anche le date della vostra più profonda sensibilità, mettete un segno a questa data. Vivrete un’emozione nuova e strana”, scriveva Valerio di Valerio in “La processione delle verginelle”.

Fino alla fine del 1700 non furono mai dedicati festeggiamenti alla Madonna. Solo a partire dal 1794, dal "miracolo della pioggia", i rapinesi diedero vita a questa tradizione. Quell’anno, si racconta, c’era stata una grande siccità che faceva rischiare la perdita del raccolto. I devoti rapinesi si rivolsero a Maria: all'improvviso il cielo si oscurò e ci fu pioggia abbondante solo su Rapino. Era l’8 maggio. Da quel giorno ogni anno si celebra la festa cha culmina con la Processione delle Verginelle.

Infatti, la festa di Rapino inizia il giorno precedente la data della ricorrenza. La sera della vigilia e la mattina della festa, le Verginelle, accompagnate dalle sorelle maggiori e dalle ragazze del paese, vanno di casa in casa a distribuire il pane benedetto, ricevendo in cambio dolci e offerte.

Nel secolo scorso la processione colpì la fantasia di molti artisti legati alla rappresentazione mitica dell’Abruzzo, come Francesco Paolo Michetti e Michele Cascella.

Riti e testimonianze dei Marrucini

Anche questa rappresentazione, come tante altre manifestazioni religiose, nasce dalla commistione tra i riti pagani delle popolazioni italiche e preromane e la religione cristiana. Già ai tempi dei Marrucini si celebrava Ceria Giovia, Madre dei Marrucini, dea alla quale era dedicato il santuario rupestre che era il fulcro della religione italica. Essa rappresentava la forza creatrice suprema, la Madre delle nascite. Padrona di due vite e di due anime, Ceria Giovia conciliava in sé l’eterna Fanciulla e l’eterna Madre, la sfera spirituale e il mondo naturale legato ai cicli della vita vegetale, simboleggiati dalle spighe mietute. Era Madre del desiderio e le sue ancelle venivano destinate alla prostituzione sacra, pratica altamente nobile e prestigiosa, esercitata solo nei maggiori santuari del Mediterraneo.

Un tempo, quando ancora vigeva il diritto della Madre il luogo si chiamava Touta Maruca, ovvero “Popolo di Maruca”. Poi vennero la legge e le prescrizioni del Padre e la gente prese il nome di Marrucini; più tardi, infine, la terra sul fianco del colle, ricco di sorgenti, divenne Rapino, che vuol dire “zona franosa”.

A difesa del tratturo pastorale, lungo il quale nelle primavere sacre un toro bianco guidava il cammino dei giovani, il popolo marrucino aveva costruito un’arce chiusa da grandi mura, da dove sono giunti fino a noi steli antropomorfe e statue acefale.

In quel recinto, a nome di Joves pater, i rappresentanti del popolo prendevano gli auspici, rogavano la legge e, per consacrarla, salivano sul fianco orientale della Montagna, verso la casa di Ceria Giovia, grande Madre degli uomini, degli animali e delle messi.

Al maestoso santuario tutt’ora si accede attraverso un imponente arco di roccia, oltrepassato il quale, si penetra in un’ampia caverna, resa ancora più suggestiva dal continuo stillicidio delle acque risorgenti. La sacralità del luogo si è perpetuata nei millenni.

Sulla tabula rapinensis è incisa la legge rogata e sacrata del popolo Marrucino che parcellizza l’archetipo naturale della identità femminile: la capacità di partorire un essere vivente. Incise su metallo, le prescrizioni della Tavola di Rapino fissano le regole della prostituzione sacra che è mistico servizio su cui si fonda il Panteon mediterraneo.
A Rapino, rustico centro di pastori e agricoltori, la pratica consisteva nell’accoglimento all’interno del collegio femminile e nella messa a disposizione della divinità, per nome e per conto di tutto il popolo marrucino, di quelle fanciulle che, per nobiltà di nascita o per perfezione fisica e morale, potessero essere considerate il fiore della Gente.

Le giovani destinate al santuario erano consacrate e non erano schiave: lo dimostrano le disposizioni secondo le quali la legge istitutiva è rogata dall’intera comunità. Per di più si impone che la vendita rituale sia amministrata da una regena iovia, alla quale spetta stabilire la giustezza del prezzo, e si decreta che il ricavato serva ad accrescere il tesoro dell’arce:

Presi gli auspici gli dei sono favorevoli.
Legge per il popolo marrucino:
le ancelle giovie di Giove padre dell'arce Tarincra
assegnate in servitù, dopo che il popolo marrucino
avrà preso gli auspici su di esse,
siano poste in vendita;
le ponga in vendita al giusto prezzo,
la sacerdotessa giovia
per accrescere il tesoro di Cerere.
Presi gli auspici gli dei sono favorevoli,
i Marrucini hanno stabilito che nessuno tocchi
il denaro ricavato dalla vendita se non quando ne abbia diritto.


La figura di Ceria Giovia ha inciso profondamente la cultura marrucina tanto da essere ancora presente nell’immaginario simbolico e religioso di questi luoghi. Un racconto popolare ricorda che “quando Rapino era più grande di Chieti, qui viveva una regina giunta da lontano”, forse quella Marruca o Maia, che approdata sulla spiaggia di Ortona, con il suo nobile corteggio di donne, sarebbe salita sulla montagna per seppellirvi un giovane figlio o amante, ferito a morte. Si narra anche che le donne del seguito, chiamate Maiellane, abbiano vissuto a lungo nelle grotte della montagna, custodendo tesori, parlando con i morti, e tessendo interminabili tele. La tradizione le descrive come bellissime e bellicose gigantesse, protagoniste di imprese straordinarie e terrificanti, ornate di splendenti gioielli e soprattutto di grandi e tintinnanti orecchini, il cui fascinoso tremolio risuonava per le valli. A maggio le Maiellane coglievano un fiore magico, “lu majie”, che era il maggiociondolo giallo e odoroso che cresce ancora in mezzo ai boschi della montagna. Le Maiellane recavano in processione rami d’albero che ritornano nella leggenda di fondazione della Madonna arborea assisa sul càrpino, apportatrice di piogge feconde e padrona del grano appena spigato, al cui santuario campestre della Madonna del Carpino la gente di Rapino rivolge una sentita devozione.

Quindi in processione, le Verginelle partono dalla chiesa parrocchiale che è situata sull’acropoli del paese, e cantando inni che, oltre alle lodi mariane ricordano i patronati idrici e agrari della Madonna di Carpineto, raggiungono il santuario campestre. Qui ascendono, salendo una scala, a venerare il simulacro posto dietro l’altare. Spesso depositano ai piedi della Madonna piccoli omaggi floreali e denaro. In riferimento alla statua, ripetendo un’interdizione molto diffusa in ambito della religiosità tradizionale, l’effige che viene recata in processione è una copia in gesso di quella conservata nella chiesa, considerata il vero numen loci e, pertanto, particolarmente taumaturgica ed inamovibile.

La festa è pervasa dal sincretismo, sopravvivenza degli aspetti antichi nelle espressioni attuali. Ponendo a confronto la forma cultuale italica con quella cattolica si nota che, come nelle raffigurazioni antiche di Ceria Giovia, la Madonna del Carpino è coronata ed ostenta tra le braccia il Figlio divino, nell’aspetto di un infante. Inoltre, i colori della veste ripetono quelli tradizionali delle greche indossate dalle Verginelle. Gli ornamenti d’oro rappresentano il duplice valore della morte-rinascita, che costituisce la stessa struttura del rito di passaggio, e sono simbolo di perfezione e di verità ultraterrena.

Anche nella forma cristiana permane l’aspetto processionale e pubblico della cerimonia: le verginelle sono condotte mostrandosi alla comunità e, a nome di questa, ascendendo alla teca della Madonna del Carpino che surroga, nelle forme rappresentative e nella geografia sacrale, la grotta non più praticata. Il clima nel quale le famiglie vivono la partecipazione di una figlia alla processione delle Verginelle è molto festoso. La circostanza è percepita come un rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, ma anche come un privilegio e una attestazione di identità culturale. Solitamente le famiglie solennizzano la giornata con un pranzo che riunisce la parentela.

La festa ha sempre costituito un forte richiamo per le popolazioni della Maiella orientale che ieri come oggi vi partecipano numerose.

Lettura consigliata: articolo di D’Abruzzo, ANNO XI - N. 49. Testo di Maria Concetta Nicolai.

La testimonianza dell'etnologo Giancristofaro

Anche l'etnologo e studioso del folklore abruzzese Emiliano Giancristofaro ci ha lasciato una testimonianza sulla Processione delle Verginelle: 

Il culto mariano è molto diffuso in Abruzzo e non v’è paese che non abbia la sua leggenda miracolosa legata alla Madonna, invocata dai contadini come propiziatrice di buon raccolto. A Rapino, paese alle falde della Maiella, rinomato per il fiorente artigianato della ceramica, c’è un piccolo santuario, la Madonna di Carpineto, attorno al quale si raccolgono, l’otto maggio di ogni anno persone locali e provenienti anche dai paesi vicini per partecipare alla Processione delle verginelle. Bambine dai 6 ai 10 anni vengono vestite di bianco e adornate da oggetti d’oro per venire simbolicamente offerti alla Madonna a scopo propiziatorio.

Ci sono anche quelli più piccoli, chiamati “angioletti”. La vigilia della festa alcune fanciulle distribuiscono per le case i pani. La leggenda racconta che in un afoso pomeriggio estivo di tanti anni fa, pare addirittura del XIII sec., quando Rapino non era ancora un paese ma una contrada di poche capanne sparse tra boschi di carpini e querce, a un pastorello che badava alle sue pecore, tra le foglie di un grosso carpino, comparve una bellissima donna con un fanciullo tra le braccia, che gli disse: “non temere, vai a chiamare il prete ché alle pecore baderò io”. Il pastorello corse verso la borgata e al ritorno, al posto della bella donna, trovò sul càrpino una statua di legno. I fedeli si resero conto del prodigio e costruirono sul posto la chiesa chiamata Madonna del Carpino. Di fronte al santuario c’è ancora una quercia secolare, pure chiamata “Quercia della Madonna”, sacra per i rapinesi perché testimone dei miracoli ricevuti dal 1794.

Ma le leggende intorno a questi prodigi sono tante e la Madonna di Rapino viene perciò chiamata la “Madonna dell’acqua” perché mai ha deluso chi le chiedeva il miracolo della pioggia, e il fatto che sia festeggiata l’8 maggio ricorda appunto un altro miracolo che si racconta, quando in tempo di guerra e carestia cadde la pioggia, episodio festeggiato con lo sparo dei cannoni. Dai dintorni, al mattino presto, si portavano al santuario le bambine con le corone di spine sulla testa, per pregare affinché piovesse.    

Secondo la credenza dei contadini, la statua poi non può essere portata fuori dalla nicchia dove è custodita dal 1200. La Madonna ha la corona di spine sulla testa, a indicare la siccità, poi fatta indossare anche dai bambini durante la festa. Una volta che fu tentato di portarla in processione risultò così pesante che si rinunciò all’impresa. Il popolo crede, perciò, che poggi su una base ricavata dallo stesso albero su cui apparve.

La sfilata di angioletti e verginelle parte dalla chiesa di San Lorenzo patrono fino al santuario della Madonna del Carpineto fuori dal paese, distante due chilometri. Le verginelle indossano una piccola tunica bianca chiamata “greca” e decorata secondo le vesti orientali, ricoperta di ori e oggetti preziosi, soprattutto di colore giallo, simbolicamente offerti con la loro innocenza alla Madonna di Carpineto. Al loro passaggio ricevono fiori, ma il rito comincia sin dalla prima mattina, quando inizia la vestizione delle verginelle. Non si fa più invece l’arricciolamento dei capelli delle bambine. Il canto che accompagna la processione ricorda appunto il miracolo della pioggia.

Le verginelle sfilano in processione verso il santuario con il capo cinto di ghirlande di fiori che in tempi passati, soprattutto quando c’era grande siccità, erano anche di spine. Si rinnova così un rito propiziatorio e penitenziale che collega il culto religioso di oggi a quei motivi arcaici di cui tutte le celebrazioni della primavera sono ancora intrise.

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