di: Anna Crisante

La mia Festa della terra

una linea tra il passato e un nuovo significato dell’abitare

Casalincontrada

Quante volte da piccola ho guardato la foto di mia madre sposa! Una foto, solo quella, mi faceva sognare. E sognando, con fare furtivo, sottraevo dal suo armadio il diadema, le scarpe bianche e a volte anche l’abito con quel ricamo d’argento che luccicava a ogni movimento. Li indossavo, e magicamente mi sentivo regina, ispirata dalle favole che leggevo. Vedevo mia mamma Elisa bellissima, con i capelli raccolti e i guanti lunghi di seta lucida, quasi una diva hollywoodiana.

Anche col passare degli anni, quando riaprivo l’album del matrimonio dei miei genitori, mi soffermavo sempre e soltanto su quella stessa foto, con lo sfondo in terra cruda e la scalinata del mio amato loggiato: pur essendo in bianco e nero, mi dava una sensazione di calore, di gioia intima ma anche di tenera nostalgia, la stessa che traspariva negli occhi di mia madre: stava per lasciare “l’aria buona e l’acqua buona”, come ripeteva spesso. Stava per lasciare la sua casa di terra cruda a Casalincontrada. Era il 1965, aveva 21 anni e si sarebbe trasferita più vicino alla fabbrica di Chieti Scalo in cui lavorava da due anni, senza però mai spezzare il legame con la terra natìa. Ci sarebbe anche nata, mia madre, in quella casa di terra cruda a due piani, con il balcone da un lato e il loggiato dall’altro, con il pavimento in cotto e gli infissi celesti, se mia nonna non avesse dovuto sfollare per la paura dei tedeschi, lasciando mio nonno a difendersi, e a difendere i loro beni, da solo. Mio nonno che grazie a quei “beni”, in seguito, avrebbe anticipato lo street food sostando lungo le strade con la “fornacella” per cuocere e vendere arrosticini. Mia nonna incinta trovò rifugio da alcuni parenti che abitavano verso valle, a Colle Petrano, in un agglomerato di case di terra cruda a un solo piano. Qui nacque mia madre e lì vicino fu battezzata, nella chiesa di San Callisto della adiacente Manoppello.

Alla fine della guerra, la casa di Casalincontrada tornò a essere vivacemente abitata, facendo in tempo a vedere la nascita della maggior parte di noi nipoti. Per noi era il rifugio della domenica, il luogo del gioco e delle coccole. Quella casa in terra cruda ci ospitava anche tutti i giorni di festa, tra i profumi del brodo di gallina e la verdura al forno con uova e formaggio preparati dalla mia nonna cuoca. Ma la casa aveva un odore tutto suo, indescrivibile, anche di mattina. Freschissima era l’acqua conservata in una conca di rame, pescata dal pozzo artesiano lì a fianco e che mia nonna ci versava nei bicchieri dal “manire”, sempre in rame… ma a noi piaceva tanto bere direttamente da questo! Nelle giornate invernali ci ritrovavamo tutti insieme intorno al tepore del focolare e io ascoltavo con molto interesse i discorsi dei “grandi”.

Questo stato di spensieratezza fanciullesca durò troppo poco. La casa che alimentava la mia immaginazione e acuiva i miei sensi, con i suoi locali diversi dalle entrate autonome e quei portoni in legno colorato, non avrebbe avuto un futuro. Nel 1977 fu abbattuta e al suo posto fu costruita una casa enorme da mio zio tornato dalla Svizzera dove era emigrato tanti anni prima apprendendo l'arte surrealista come pittore. Eravamo tutti contenti per la casa nuova in cui avrebbero abitato anche i miei nonni con tutti gli “agi”.  Della casa di terra cruda, con il suo odore particolare, i rumori ovattati, la luce dorata dei muri e il loggiato con i mattoni in cotto, quel loggiato che adoravo, sarebbe rimasto solo il ricordo.  

E questo ricordo sarebbe stato il mio segreto per molto tempo. Mai ai miei compagni di scuola ho parlato di quella casa di terra cruda situata su una dolce collina del chietino, circondata da prati, ora verdi ora gialli, su cui correre a perdifiato e riposarsi a pancia in su guardando il cielo. Mai ho raccontato dell’emozione che mi provocava il vestito bianco che indossavo durante la processione del Corpus Domini o della gioia nell’assistere, con i piedi nella neve, alla rappresentazione del presepe vivente con le sue luci colorate e l’eco del colpo di martello del maniscalco, o dell’eccitazione che mi invadeva quando giravo sulle “catene” tentando di catturare il fazzoletto durante la festa di paese.

Lo racconto ora, per la prima volta pubblicamente, perché la XXVI edizione della Festa della Terra di Casalincontrada ha segnato dentro di me una linea di demarcazione tra la nostalgia di un tempo andato e la consapevolezza che quell’abitare rurale, sostenibile per i materiali disponibili in natura, ha ancora molto da dire e da insegnare.

Tutte le attività che hanno girato intorno alla manifestazione ci hanno fatto interrogare sulla opportunità di recuperare la “terra cruda”, hanno avuto la forza di ridare a questo materiale un senso nuovo, di ricostruire intorno ad esso un significato diverso e di restituirgli una funzione, e anche una nuova funzionalità.   

La terra cruda oggi può tornare a guardare al futuro. Ha preso le distanze dalla connotazione di povertà e di bisogno, si è rivestita di nuovi valori che parlano di ecologia, riciclo e di economia circolare. Oggi può vantarsi di essere un materiale versatile, plasmabile, economico, termico, ignifugo, antifungino, rispettoso.

Alla manifestazione ho conosciuto Enrico Poggiali che modella la terra cruda per realizzare bellissimi forni e stufe a legna che dota anche di congegni per diffondere e trasportare il calore. Sorprendente è stato il laboratorio della Summer school di FabLab PoliBa “Self Made Architecture V” che, con i suoi dottorandi guidati dal professor Nicola Parisi dell'Università di Bari, ha realizzato conci, ecosaedri tronchi, ottenuti da forme costruite con la stampante 3D. È stato poi un algoritmo, istruito da parametri funzionali, a ipotizzare un tipo di assemblamento degli elementi. Tecnologia matematica e creatività dell’uomo, insieme, hanno prodotto una scultura complessa capace di alleggerirsi con geometrici giochi di luce. Una pratica di ricerca dagli sviluppi aperti e imprevedibili. Io stessa ho immaginato un muro interno di una casa, sviluppato con quel pattern, allo stesso tempo tecnologico e naturale, movimentato dai riflessi di luce che si trasformano e modificano nel tempo. Davvero la “terra non ha mai avuto questa forma”. Il professor Parisi poi, ispirato dall’architettura organica, non esclude la possibilità di realizzare una dimora tassellando con lo stesso modulo tutto lo spazio abitativo e svuotando solo alcune parti per ricavarne ambienti irregolari e rispondenti a esigenze specifiche dell’uomo. Ma per continuare la ricerca e la sperimentazione servono fondi.

Ho visitato, guidata dall’architetto Anna Paola Conti, l’agglomerato di case di terra cruda di Villa Ficana a Macerata, un raro esempio di valorizzazione e di resistenza alla cementificazione selvaggia degli anni ’70, e che oggi fa scuola con l’Ecomuseo che lo tutela come Bene culturale e sviluppa le relazioni sociali dei suoi abitanti tramite laboratori ed eventi. Un agglomerato che in tutto il suo assetto parla di vita contadina, un libro aperto sull’epoca ottocentesca che si materializza per essere ancora vissuto.   

Una nuova possibilità di recupero delle case rurali, in terra cruda e non, attualmente è offerta dai fondi del PNRR, Piano nazionale di ripresa e resilienza. È stato l’architetto Gianfranco Conti dell’associazione Terrae onlus che ha organizzato la Festa della terra, a esporne le direttive come possibilità di recuperare la ricchezza della stratificazione dei nostri paesaggi, generati da comunità che condividono valori. Frenare l’eccessivo consumo di suolo, progettare il futuro mantenendo tracce della memoria nelle forme costruttive e architettoniche, una gran bella aspettativa.

Ho immaginato e desiderato di riabitare in una casa di terra, in una terra che si fa casa. La sensazione di calore fisico e visivo mi hanno invaso. Potrei entrare in un mondo a sé, immergermi in un’atmosfera e in un tempo sospesi, tra muri che respirano come fossero vivi. In quella semplicità, trovare l’armonia e la bellezza, essere sempre in compagnia della storia conservata nella memoria della materia stessa.

E così terra eri e terra ridiventerai.

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