di: Abruzzo Marrucino

Il Miracolo di San Domenico e il lupo

Rappresentazione teatrale che contrappone Bene e Male

Pretoro

Ogni prima domenica di maggio, a Pretoro, viene festeggiato San Domenico per il “Miracolo del lupo”, una sorta di rappresentazione teatrale sacra intitolata oggi Lu Lope, che vede il Bene, rappresentato dal Santo, contrapposto al Male, impersonificato dal lupo.

Protettore del borgo di Pretoro, San Domenico, il cui culto risale al 1875, veniva invocato contro i morsi delle serpi e le aggressioni del lupo. Per le sue qualità taumaturgiche, è uno dei santi più venerati in Abruzzo, regione che in passato aveva un’impronta socioeconomica che affondava le radici nelle attività agricole e silvo-pastorali.

Fu proprio a Pretoro, secondo la leggenda, che San Domenico incontrò un gruppo di persone all’inseguimento disperato di un lupo che aveva sottratto un bambino dai genitori taglialegna, mentre lavoravano nel bosco. Il Santo allora rincorse e raggiunse il lupo e, come San Francesco, lo ammansì e, col suono della sua voce, lo convinse a lasciar andare la sua preda. Così il bambino fu restituito incolume ai genitori.

Patrimonio immateriale d'Italia, la sacra rappresentazione del miracolo di San Domenico abate è stata riconosciuta dall’Istituto Centrale per la DemoEtnoAntropologia. Prima era solo mimica, oggi invece ha come sottofondo la recitazione del testo poetico dialettale "Lu Lope" scritto dal grande Raffaele Fraticelli, diffusa da altoparlanti da più di sessant’anni. Lo stesso poeta recitava il testo, a partire dall’edizione del 1963, e partecipava anche con la vestizione dell’uomo-lupo.

La rappresentazione teatrale

rappresentazione
rappresentazione, da visitabruzzo
antica rappresentazione, ph Pasquale De Antonis

La rievocazione del “Miracolo di San Domenico e il lupo” ha inizio al mattino, dopo la Santa Messa, in una radura poco lontana dal centro storico, allestita come un teatro naturale, ai margini del bosco. Dalla chiesa di San Nicola parte un corteo con gli attori, che si tramandano il ruolo di padre in figlio, un asino bardato che sul basto trasporta il cibo per l’intera giornata e il figurante con il quadro dell’immagine di San Domenico. Marito, moglie e lupo sono impersonati da uomini, come nella tradizione teatrale antica italiana. L’attore che rappresenta la moglie porta, tra le braccia o dentro un canestro di vimini, un bambino in fasce scelto tra gli ultimi nati del paese o preso in prestito dai paesi vicini. Nel corteo, preceduto dalla banda musicale, sfilano anche ragazzi che ostentano serpenti, prevalentemente bisce e cervoni, in omaggio a San Domenico, protettore contro serpi e lupi.

Percorrendo le viuzze del paese si raggiunge uno spiazzo dominato da una scarpata, una cavea naturale conosciuto come l’Anfiteatro della Maiella, dove avverrà la rappresentazione del miracolo, che viene effettuata con andamento di mimo e pantomima. Sulla scena campeggia una capanna tra le frasche. Qui giunti, la rappresentazione inizia con la ninna nanna della moglie che culla il bambino e l’inizio dell’attività di taglialegna, mentre il bambino riposa in una culla di vimini all’ombra delle frasche. Poi il lavoro viene interrotto e i due coniugi, dopo aver ringraziato la Divina Provvidenza, consumano realmente la colazione tagliando il pane farcito con il prosciutto crudo, accompagnato da un bicchiere di vino. Riprendono il lavoro ma il lupo approfitta della lontananza dei genitori per impossessarsi del bambino rimasto solo nella culla.

Quando i genitori tornano alla capanna, non trovando il figlioletto, si abbandonano a scene di costernata disperazione e sembrano incapaci di reagire fino a quando non ricorrono all’invocazione del santo protettore: si inginocchiano devotamente dinanzi all’immagine di San Domenico e lo implorano di intercedere. Il Santo interviene e ammansisce il lupo che restituisce il bambino ai genitori, depositandolo nella culla, dopo aver trattenuto il fagotto tra i denti, e dileguandosi nuovamente nel bosco, mentre scoppia l’applauso della folla. Seguono le scene di festosa letizia e allegria dei due genitori che riabbracciano il figlioletto salvato dalle grinfie del lupo e ringraziano ancora increduli San Domenico.

Il lupo viene interpretato da un uomo che indossa una pelliccia e, una volta, presentava un copricapo in cartapesta.

La folla pur conoscendo bene lo sviluppo della storia, sembra trattenere il respiro e resta in rispettoso silenzio fino al momento culminante.

A conclusione si torna in paese ad annunciare il miracolo avvenuto e la popolazione partecipa alla processione che nel frattempo esce dalla chiesa parrocchiale per snodarsi tra i vicoli, preceduta dalla banda e accompagnata dai fuochi d’artificio. I ragazzi si rincorrono tra la folla agitando serpi e serpentelli con l’intento scherzoso di provocare paura.  

Caratteristici sono anche i laccetti, braccialetti di cotone e fili colorati, realizzati a uncinetto dalle donne del paese, che vengono benedetti e che per tradizione simboleggiano la protezione di San Domenico da mal di denti e dai morsi dei serpenti. Nel corso della mattinata, infatti, all’esterno della chiesa, alcuni questuanti offrono immagini del santo e amuleti antiofidici detti “Laccetti di San Domenico”, cordine bianche inframezzate da ciuffetti di filo colorato che i devoti legano al polso degli intervenuti.

Serpenti e lupi, simboli di culti pagani

Serpenti nelle rappresentazioni sacre. Ph Ascanio Buccella
Il lupo e il suo mistero

“Domenico abate, altro santo errante ed eremita, originario di Foligno e venerato come protettore da morso di cani e serpenti velenosi, ha probabilmente assorbito le forme rituali dell’antica divinità Angizia, adorata dalle tribù italiche dei Marsi e dei Peligni, alla quale erano consacrati i serpenti e i sacerdoti che li manipolavano” (Adriana Gandolfi, Fest’ e fiera, radici Edizioni).

Serpenti e lupi erano simboli di culti pagani e protagonisti di un mondo antico immerso nella natura, selvaggia e spontanea, che si contrapponeva alla vita organizzata dell’uomo. Da un lato, quindi, il paesaggio incolto, le foreste impenetrabili, dall’altro l’orto, il giardino, la piacevolezza di un ambiente ricreato dall’uomo. La natura selvaggia spaventa, la natura organizzata addolcisce e ritempra lo spirito.

È proprio in questa ambivalenza che va collocato il lupo e l’ancestrale paura che accompagna l’uomo dalle origini della sua storia nei confronti di questa fiera. Il lupo, infatti, creatura della natura selvaggia e spontanea, compie periodiche incursioni nei ben ordinati territori umani, manifestando con prepotenza il suo aspetto più ostile e spaventoso. Allo stesso modo i serpenti vivono generalmente nella loro dimensione di natura spontanea e selvaggia e diventano pericolosi per l’uomo solo quando l’uomo compie incursioni nei loro habitat. Essi rappresentano il mondo oscuro, ciò che non si conosce, il pauroso, caratterizzati dalla loro natura di entità in genere “repellenti” per l’uomo, ma al contempo esercitanti un fascino ambivalente, probabilmente riconducibile a dimensioni profonde dell’inconscio. Le rappresentazioni abruzzesi con i serpenti indicano la vittoria sulla paura e il pregiudizio.

Lu lope di Fraticelli

La copertina della prima edizione del 1964

La vicenda – il bambino che viene rapito da un lupo mentre i genitori sono nel bosco a far legna; quindi, l’intervento di San Domenico che, mosso dalle accorate preghiere dei genitori, ammansisce il lupo facendo sì che lui stesso riporti a casa il piccino – si prestava molto bene ad una trasposizione dram­matica. E Raffaele Fraticelli, con sottile intuizione poetica, ha fissato le scene salienti del racconto in una vera e propria sacra rappresentazione. Ogni miracolo è conseguente ad un profondo atto di fede, perciò il poeta ha impostato l’intera azione sulla religiosità ingenua e istintiva della gente di paese. I protagonisti, così, levano alla Divina Provvidenza un pensiero riconoscente, prima di toccare il pasto frugale; si segnano all’atto di incominciare il lavoro quotidiano; e quando infine invocano da San Domenico per il mi­racolo della restituzione del loro bambino, lo fanno con umiltà e fiducia. Il miracolo allora può compier­si: un suono di campane ne diffonde la notizia per valli e vet­te, fino al Monte Amaro.

Ma ciò che acquista maggior valore nelle sobrie pagine del volumetto “Lu lope”, edito nel 1964, è la spontaneità e la genuinità del linguaggio. Una storia abruzzese, antichissima per di più, non poteva che essere interpretata con il linguaggio nativo del popolo. E il dialetto, ricondotto qui alla sua più elementare struttura sintattica, e centrato inoltre sulle espressioni più vicine alla semplicità del mondo contadino, consegue una trasformazio­ne quasi magica delle scene: queste, così, sembrano davvero ricondurci all’aura mistica e popolare delle Laudi umbre del Trecento. 

(testo) Lu lope:

Sta la cunele a la capann

A do lu citel fa la nanna,

Dorme fino a quando arve'"

Da la montagna lu Papà sè...

 

Oh San Dumenico, sci benedette,

Facce 'na croce a sta' bella fiaschette,

L'ha turnit tatone di sera,

Da 'nu tronchett de mora nere...

 

Oh San Dumeneche santo di Dio,

Facci la grazia, aredacce lu fije,

Chiame lu lope, chiamale forte, se sente a te, San Dume', l'areport

Curre, fa leste, sennò se le magne,

Falle sta grazia a 'nu padre che piagne...

 

Guardetele, elle' lu lupe nere,

Ha recalate mo da la muntagne,

Ha rivinute, ca ci' andes a piagne,

Guardetele quant' è belle

Lu citilucce nostre è n'angelelel.

È Sane e salve, bell gni 'nu fiore,

Pure a lu lop se tocche lu core...

 

Currete bona gente,

Ci ha fatte nu miracule lu sante

Ci ha date San Dumeniche na mane,

Facete suna' a fest le campane,

Facete corre serpe e serpendelle,

Facetele arejii a la casarelle,

Se tenne lu laccett che je fa,

Pure la mamma loro le sta aspetta'.

Da lu vallone fino a mont'Amaro,

Facete arenduna' forte lu spare,

Accusci' tutte l'Abruzze le sente,

Oggi li priturise sta cuntente...

(Raffaele Fraticelli)

Il borgo di Pretoro

Sorto intorno al 1600 intorno al Castello, sul versante orientale della Maiella, a 550 m s.l.m., il borgo di Pretoro, uno dei Borghi più Belli d'Italia, l'antico "Castrum Pretorii de Theti", circondato da meravigliose faggete, sembra il proseguimento stesso della roccia. Il centro storico presenta un'affascinante trama in pietra di vicoli strettissimi e intrecciati tra loro come un ricamo prezioso regalando scorci sul maestoso panorama che circonda il paese. A pochi chilometri dal borgo, le piste da sci del comprensorio di Passo Lanciano - Maielletta in inverno offrono un’alternativa alla quiete del centro storico. Pretoro è conosciuto anche come il paese dei “fusari” che realizzavano i fusi in legno per trasformare la lana in filamenti.

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